sabato, 20 Aprile 2024

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Platinette: “Le donne della tv hanno una grande forza di volontà” (INTERVISTA)

Platinette e Simone Gerace danno vita a “Sei Donna?” un dialogo semiserio sulle donne in televisione. Nel dialogo tra Mauro Coruzzi (in arte Platinette) e Simone Gerace si parla di televisione, o meglio, delle conduttrici televisive e, in generale, del ruolo della donna in TV rispetto ai loro colleghi uomini.

Attraverso una bellissima e divertente analisi della televisione degli ultimi 50 anni, ecco come la donna riesce a delinearsi davanti al piccolo schermo, conquistando sempre più il pubblico e scavalcando, di gran lunga, i loro colleghi. Qual è il segreto di tanta bravura? Platinette ha scelto di raccontarsi, in esclusiva, per i lettori di Blog di Lifestyle.

“Dialogo semiserio sulle donne in televisione”: com’è stato scrivere questo libro?

Avendo impostato il libro in una serie di lettere, come quelle che si scrivevano una volta, i due autori hanno lavorato separatamente con un meccanismo di scrittura tale per cui uno passava la palla all’altro e nessuno sapeva cos’avrebbe proposto alla fine della lettera se non quando la lettera la riceveva. Abbiamo scritto sotto l’impulso della passione per “la donna” in tv e ci siamo incontrati grazie ad una puntata di Barbara d’Urso. Siamo diventati amici, abbiamo continuato a scambiarci opinioni sulle donne della televisione, abbiamo cercato di mettere in risalto alcune delle qualità che addirittura nella vita quotidiana non vengono messe mai in evidenza.

Nel libro si parla di “girl power”, il potere delle donne: che cos’è e da dove nasce?

La televisione di oggi: se non ci fossero queste donne è come se spegnessi la tv, perché non c’è un momento della giornata in cui non ci siano una o più figure femminili al lavoro, al momento stesso, in concorrenza l’una con l’altra, di fronte alla rivalità inevitabile dei numeri, sia che sia in prima serata sia che sia la mattina presto. Le figure come la Carlucci o la De Filippi, Barbara d’Urso, Cristina Parodi, Benedetta Parodi… è un continuo vedere donne in televisione 24h su 24: sono solo donne; uomini così bravi e capaci di affrontare l’intrattenimento così come fanno le donne non ce ne sono, forse perché questi si vergognano un po’ di farlo, si sentono troppo grandi giornalisti e considerano questa realtà come distante. Molti sono, però, gli uomini bravi in tv come Fabrizio Frizzi o Carlo Conti.

Come riescono queste donne a combinare successo e professionalità come armi in più?

Ciascuna ha un suo “sistema”, ma ci sono elementi che possono risultare comuni: se penso a Barbara d’Urso o Lorella Cuccarini mi viene subito in mente una forza di volontà molto forte, così tanto da riuscire a far realizzare loro un obiettivo; questo viene perseguito con una mente molto chiara. Se oggi sono così è tutto un enorme sforzo di qualità. È una questione anche di atteggiamento.

Quanto conta la bellezza al femminile in tv?

Dipende da chi se la porta addosso come una necessità. Non ce n’è una nella storia dello spettacolo che non abbia chiaramente almeno fatto ricorso alla chirurgia estetica. Ciò che noi vediamo bello è quello che ci convince sugli altri. Capisco che per loro la bellezza possa rappresentare un’angoscia e che molte di loro possano essere ritoccate, rifatte: le più grandi entertainer della televisione, non italiana ma americana, come Joan Rivers, che io ho amato per la sua crudeltà e la sua cattiveria, hanno fatto ricorso a più o meno evidenti “ritocchini”. Se si vanno a confrontare le sue foto da più giovane con le foto dell’ultima fase prima di morire si vede una differenza netta, ma comunque il suo modo di fare televisione è rimasto lo stesso, la sua cattiveria era una cattiveria che non risparmiava addirittura neanche se stessa.

Signorine del tubo catodico: quanto ha funzionato ad oggi il modello letterina/valletta, basti pensare a Ilary Blasi o Elisabetta Canalis?

Non c’è una regola. Un po’ come la storia del Grande Fratello: chi l’avrebbe mai detto che da quel programma sarebbero usciti attori di cinema e palcoscenico, conduttori; chi l’avrebbe detto che avrebbero generato fenomeni come Tarricone? Non è la provenienza che conta, ma la possibilità che la provenienza ti può dare. Tra le grandi ragazze della tv, e non solo, ce n’è una bravissima, Roberta Lanfranchi. Tutti gli altri sono spariti e non è un caso.

Apparenza e finzione vs. realtà e verità: in quali percentuali ci sono queste due opposte componenti in tv?

Se si fa un programma, come si faceva una volta, di moda, quelli molto raffinati e senza conduzione o con la conduzione appena accennata, l’apparenza non solo è la forma ma il tutto. Secondo quello che si dice Alessia Marcuzzi sarà la conduttrice dell’Isola dei Famosi : in quel caso non è importante se lei quest’anno metterà qualche esponente della moda o meno, ma come lo farà.

Qual è il tuo modello ideale di televisione femminile?

La televisione che sia capace, come non accade più, di intercettare la verità che non sono quelle dei ruoli. Mi piacerebbe una tv di confessioni, di emozioni forti, raccontata con la verità, che può essere anche una naturalmente pericolosissima, perché tu sei volontariamente messo in gioco. Una tv davvero vera, non un insieme di costruzioni ad hoc. Anche se fare una televisione così non è per niente facile. Adesso la tv è dissanguata, la mania dei social l’ha distrutta.

Cosa ne pensi della tv urlata?

Tutto il bene possibile, almeno rimango sveglio. Litigano in maniera urlata molto di più i politici. Vedere Tina Cipollari con un anziano corteggiatore e farne nascere un litigio da vicolo di paese dell’entroterra non mi scandalizza per niente, anzi.

Quanta meritocrazia c’è davvero in tv?

Non credo che ci sia: si devono fare i numeri, la pubblicità, quindi perché certi programmi che non funzionano vengono riproposti? Forse perché c’è una grande pressione dietro. La meritocrazia non è un valore uguale per tutti: chi va in onda perché fa numeri e chi va in onda nonostante non faccia numeri. Barbara d’Urso non ha nessuna forza, senza non i numeri che fa e probabilmente sono quelli il segno della meritocrazia.

Quale può essere il futuro per le donne in tv?

Non ce n’è uno solo fino a quando non ci sarà un direttore di rete donna come è accaduto adesso con Mediaset.

Il Fidanzato della Fidanzata Psicopatica si racconta (INTERVISTA)

Avere a che fare con una Fidanzata Psicopatica non è per niente facile: scenate di gelosia e crisi isteriche per le spunte blu di WhatsApp sono all’ordine del giorno. E la vittima è sempre lui, il “povero” fidanzato, che non sa più come evitare o placare l’ira della sua compagna.

Noi di Blog di Lifestyle, dopo avervi elencato i suoi comportamenti più comuni, abbiamo fatto due chiacchere con il Fidanzato della Fidanzata Psicopatica più famoso del web. O meglio, con i tre admin che gestiscono la famosa pagina su Facebook.

Ciao ragazzi! Conosciamo tutti “Il Fidanzato della Fidanzata Psicopatica”, ma chi si nasconde veramente dietro questa pagina?

Ciao! Dietro questa pagina si nascondono tre poveri sciagurati Fidanzati di Fidanzate Psicopatiche, il che rende anche piuttosto evidente quanto impegno ci sia stato nel tirare fuori questo nome. La nostra vita si limita tendenzialmente a sopravvivere, nel tempo libero proviamo anche a studiare qualcosa di economia contemplando le vite sociali dei nostri coetanei.
A proposito, tesoro, se stai leggendo stai tranquilla, abbiamo dei ragazzi davanti a intervistarci.

Come è nata l’idea di aprire questa pagina su Facebook?

Ovviamente dietro ogni grande idea si nascondono grandi uomini. I grandi uomini hanno bisogno di grandi ambienti per riflettere. Noi stavamo al cesso. Non tutti insieme, ci mancherebbe. Però voglio dire, due di noi tre ci stavano davvero. Lui mi ha scritto, è stato tutto molto semplice, abbiamo iniziato a chiacchierare ed è venuta fuori l’idea. Poi è venuto fuori qualcos’altro e ci siamo incontrati per discuterne.

Ad oggi avete più di 100 mila like. Vi aspettavate tutto questo successo?

Ora, qui vorremmo fare un appello. Smettetela. A parte gonfiare considerevolmente il nostro ego, non riusciamo a trovare il modo per ringraziarvi tutti, e questo ci fa sentire un tantino a disagio.
Credo che il successo, se di successo si può veramente parlare, sia dovuto a noi tutti, che sopravviviamo e resistiamo quotidianamente. Alla fine sono situazioni che chiunque ha vissuto, se non da vittima quantomeno da carnefice.
Ovviamente le nostre adorate fidanzate sono vittime e noi siamo i terribili carnefici, mi sembra evidente, tesoro ti amo ricordatelo…

Tutti i giorni pubblicate foto di conversazioni reali tra coppie. Qual è lo screen più divertente che vi è arrivato?

Dal momento che ci consideriamo persone simpatiche, originali e modeste la nostra risposta è: “lo screen che deve ancora arrivare”. Ok, ci siamo presi il nostro momento di gloria poetica.
In realtà gli screen più belli sono quelli che non possiamo pubblicare, vi suggeriremmo di chiederli direttamente alle nostre ragazze ma non fatelo, siamo troppo giovani per morire.

Pubblicate foto di altri, ma quanto vi ritrovate nelle situazioni dei messaggi che vi inviano?

Giusto per dare un’idea, abbiamo lasciato i nostri cellulari da dieci minuti e i vari WhatsApp hanno iniziato a intonare la nona sinfonia di Beethoven. Seriamente, un’idea simile non può nascere da zero.
Anzi, vorremmo cogliere l’occasione per spendere due parole: è vero che ci troviamo dentro fino al collo, è vero anche che essendoci coinvolti in prima persona possiamo dire la nostra. Quasi sempre quegli screen nascondono motivi molto più profondi di quanto possa apparire a primo impatto. Insicurezza, mancanza di fiducia, timidezza, distanza… spesso ti spingono a reagire così, ai limiti del ridicolo. Ciò che conta davvero è la consapevolezza che dietro ci sia affetto reciproco. I litigi saranno sempre all’ordine del giorno, è la volontà di superarli e mettere da parte l’orgoglio che definisce le relazioni che contano.
Questa eventualmente mandatela alle nostre ragazze, non tiravamo fuori perle così dall’esame di terza media.

Tre consigli a tutti i fidanzati? E alle fidanzate?

Dunque, oh stolti, udite i saggi consigli. Ai ragazzi: iPhone in modalità Aereo e gita in Canada durante il ciclo, controllo costante della vostra bacheca di Facebook con eventuale eliminazione di tag inopportuni e amicizie sgradevoli, decisi apprezzamenti conseguenti a manicure, pedicure, qualsiasicosacure.
Alle ragazze: disponibilità permanente al gradevole movimento fisico, particolarmente gradita la preparazione di pranzi/cene, completa comprensione in caso di riunioni serali tra amici e compagni. Ovviamente i nostri IMPARZIALI consigli vi condurranno a una vita di coppia esemplare.
Non ascoltate quello che leggete nei cioccolatini, siamo noi i Baci del futuro.

Ricette per ragazze che vivono da sole (INTERVISTA)

Credit photo: imilleeunlibro.blogspot.com

Noemi Cuffia e Ilaria Urbinati. Una scrittrice, l’altra illustratrice. Uniche e diverse, ma legate da una forte amicizia e dalla passione per il mondo editoriale che le ha portate a realizzare diversi progetti insieme: l’ultimo è “Ricette per ragazze che vivono da sole”, un e-book della casa editrice Zandegù.

In “Ricette per ragazze che vivono da sole” si racconta la storia di due amiche, Camilla e Rebecca che – come le due autrici che gli hanno dato vita – sono molto diverse, ma unite dal fatto di vivere da sole. Così, attraverso la penna di Noemi prendono vita le avventure di Rebecca, amica di Camilla, rappresentata dai disegni di Ilaria, che cercano di dare consigli e prendere ogni situazione con un pizzico di ironia.

Noi di Blog di Lifestyle abbiamo letto l’e-book in anteprima – sarà in vendita, infatti, a partire dal 3 marzo – ed intervistato le due autrici.

Noemi Cuffia, scrittrice

Ciao Noemi, ti presenti ai lettori di Blog di Lifestyle?

Vorrei potermi definire una scrittrice, ma per ragioni di riserbo e di rispetto per questo mestiere sono un’esordiente. Mi piace scrivere da quando ero piccolina, ho studiato lettere a Torino e ho fatto tremila lavori: stage, servizi civili, contratti a progetto. Ad un certo punto ho beccato una borsa di studio – con mia immensa fortuna – allo IED di Torino, dove ho studiato “Progettazione editoriale” per due anni di Master. Ora lavoro in editoria, sono una freelance. E poi scrivo da sempre, ho pubblicato racconti su riviste – sia cartacee che online – e circa due annetti fa ho pubblicato il mio primo romanzo che si chiama “Il metodo della bomba atomica”.

Dopo il tuo primo romanzo torni con “Ricette per ragazze che vivono da sole”. Come è nata l’idea di questo libro?

Con Ilaria c’è un’amicizia che va avanti da un bel po’ di anni e in questo ci hanno unito i blog: infatti lei è un pochino più giovane di me e leggeva il mio blog. Ma ancora prima Ilaria aveva illustrato la copertina di una raccolta di poesia dove io ero tra i poeti.
Ci siamo poi viste, conosciute e siamo diventate amiche. Abbiamo iniziato a fare progetti su progetti e anche libri insieme.
In tutto questo l’amicizia è cresciuta e abbiamo iniziato a confrontarci su tutto. Quando siamo andate e vivere da sole ci confrontavamo più spesso, soprattutto sul fatto che avevamo difficoltà a cavarcela – sul lavoro, con gli altri, nelle amicizie. La nostra amicizia, all’inizio, era proprio un mutuo aiuto. A quel punto ho detto “Senti, ma perché non trasformiamo tutte queste chiacchere in qualcosa, perché non facciamo un libro?”, anche perché ne avevamo già fatti prima. Per questo ci sono cose molto vere nel libro, ovviamente un pò romanzate.

Nel tuo ultimo e-book racconti di Rebecca e delle sue avventure: vive da sola e deve imparare a “sopravvivere” ad ogni situazione. Secondo te quanto è importante per una donna diventare indipendente ed imparare a contare solo su stessa? Vivere da sole è una buona occasione per crescere?

Per me è stato fondamentale. Quando non vivevo da sola comunque sentivo che mi mancava qualcosa, paradossalmente. E ora che mi è successo davvero questo mi ha cambiato proprio la vita: per una donna è quasi un dovere poter contare solo su se stessa, anche se è difficile perché più sei indipendente dagli altri più la vita ti mette a dura prova e ti mette alle strette. Poi questo non vuol dire non chiedere aiuto se ce n’è bisogno, anche perché siamo una società.

A volte leggendo si tende a identificare la protagonista con l’autrice reale, ma quanto c’è di te nel personaggio di Rebecca?

C’è tantissimo, però non sono io completamente. A volte la vita è un più dura ancora e altre volte è più bella, a seconda delle circostanze, e io sono o un po’ meglio e un po’ peggio del personaggio che ho descritto.
E poi non sono io perche l’idea era quella di scrivere un racconto che potesse essere anche un pò universale. “Ricette per ragazze che vivono da sole” non è un romanzo – anche se il personaggio è un personaggio romanzesco – e non è nemmeno una confessione ne un’autobiografia. Apposta per questo ho voluto dargli dei nomi – in modo che tutti potessero riconoscersi – e volutamente non ci sono nomi di uomini e di genitori, ma solo loro due, che sono due amiche.

Hai anche un tuo blog, “Tazzina di caffè”, molto seguito. É stata un’esperienza fondamentale per entrare poi nel mondo editoriale?

É un blog di libri, che forse è la cosa più caratteristica per capire chi sono. Ciò che sono riuscita a realizzare in questo ambito lo devo molto anche a questo blog.

Hai qualche autore preferito o dal quale prendi ispirazione?

Il mio autore preferito è Haruki Murakami, che è proprio il mio mito e, secondo me, è un genio. Mi piace molto come vive e come scrive: vorrei assomigliargli in tutto ed essere come lui.
Invece, un’autrice che mi ha affascinata molto è Natalia Ginzburg.

Che progetti hai per il futuro?

Sto scrivendo un romanzo il cui protagonista è un comico, sempre per LiberAria – che è la casa editrice con cui ho pubblicato il primo libro – ed è un’impresa abbastanza ardua, ma vorrei riuscire a farlo: questo è il più grande obiettivo del momento. Ma, in generale, il mio obiettivo è quello di continuare a scrivere.

Ilaria Urbinati, illustratrice

Ciao Ilaria, ti presenti ai nostri lettori?

Mi chiamo Ilaria, ho 30 anni e vivo a Torino, da sola, in una bella mansarda molto diagonale. Faccio l’illustratrice da qualche anno e lavoro per lo più su fumetti e libri per bambini da quando ho 20 anni circa.

Ormai, da anni, sei un’illustratrice a tempo pieno. Ma come è nata in te questa passione?

In realtà ho fatto studi di lettere, studiando in un liceo linguistico. Mi piaceva moltissimo leggere e allo stesso tempo ero una di quelle ragazzine che disegnava sempre, pomeriggio e sera. Ho pensato che la soluzione per unire la lettura e il disegno era fare l’illustratrice.

Nel tuo ultimo lavoro con Noemi Cuffia, disegni la storia di Camilla in modo molto ironico. Anche te vivi ogni situazione, seppur negativa, con un sorriso sulle labbra?
Magari, ma in realtà non è così. Cerco di avere ironia, però nella vita mi agito tantissimo e ho un sacco di ansia. Quello che traspare dai miei disegni è più dolce e positivo della mia vita ideale, ahimè.

Alle prese con ragni, scarafaggi e vicini impiccioni. Qual è stata la circostanza che più ti è piaciuto illustrare?

Sono due. Una è quella in cui a Camilla fanno le domande sul vivere da sola – in cui la gente comincia a chiederle “poverina, ma non hai paura?” – perché è la verità. A me è successo quando sono andata a vivere da sola: avevo 23 anni – ero giovane, ma neanche tanto – e tutte queste domande me le hanno fatte davvero.
L’altra che mi è piaciuta tantissimo fare è quella di come svoltare una serata perché amo la danza, anche se sono moderatamente negata, e quindi disegnare lei che si scatenava mi ha divertita un sacco.

Che consigli dai a chi vuole seguire la tua stessa strada?

Disegnare tanto e sempre, seguire il proprio istinto, facendosi guidare dalla propria intuizione e fare quello che ti piace, che è una cosa non scontata.
Spesso uno dice di voler fare libri per i bambini e poi magari disegna solo zombie: se ti piacciono gli zombie disegna gli zombie, se ti piacciono gli animaletti disegna libri per bambini. Non ti forzare a fare una cosa che in realtà non ti piace. Io sporadicamente insegno anche, faccio dei corsi e questo è l’errore più frequente nei miei allievi: loro mi dicono “vorrei tanto disegnare per i bambini” e poi davvero disegnano solo zombie, ma non se ne rendono conto. Io dico ma se disegni gli zombie fai gli zombie, ma uno si fa molto traviare dai luoghi comuni ed è strana questa cosa.
E poi le cose un pò crescono da sole: anch’io all’inizio pensavo di fare l’animatrice, infatti ho iniziato a lavorare in animazione, facendo cartoni animati e Geronimo Stilton. Poi invece mi sono accorta che la mia strada era fare più libri e fumetti.

Qual è la storia che in assoluto ti piacerebbe di più illustrare? E la prossima che illustrerai?

La storia che mi piacerebbe illustrare di più è Cime tempestose. Una graphic novel di Cime tempestose per me sarebbe la gioia.
Per la prossima invece ci sto lavorando adesso: è una graphic novel che uscirà a Lucca nel novembre 2015. Non sarà in e-book, ma sarà stampato da un editore di graphic novel ed è ambientata durante la seconda guerra mondiale.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Un progetto sicuramente è questo libro che uscirà a novembre, questa graphic novel che mi impegnerà parecchio. Nel breve periodo è questo, poi nel futuro non lo so. Sicuramente mi piacerebbe continuare a fare fumetti e libri per ragazzi e, magari, illustrare un classico. E il sogno di una vita è lavorare all’estero con qualche editore francese, con qualcuno fuori dall’Italia perché mi è capitato poco ed è una cosa che mi piacerebbe fare.

Credit photo: imilleeunlibro.blogspot.com
Credit photo: imilleeunlibro.blogspot.com

Emergenza Sorrisi: ‘Aiutare i bambini a restituire il sorriso’ (INTERVISTA)

Credits: emergenzasorrisi.it / Teresa Emanuele

A volte basta poco per aiutare un bambino a restituirgli il sorriso. Un piccolo gesto, una carezza, le cure necessarie, che per lui possono significare tanto. In alcuni casi, può cambiargli la vita. Emergenza Sorrisi è una associazione onlus che nasce con l’intento è quello di restituire il sorriso e la speranza di una vita migliore a bambini affetti da malformazioni del volto, ustioni, traumi di guerra, neoplasie, patologie ortopediche e oculistiche.

Abbiamo intervistato il presidente dell’associazione, Fabio Massimo Abenavoli, che è anche chirurgo plastico volontario, per raccontarci tutto su Emergenza Sorrisi, sulla missione dei medici, gli aiuti ai bambini e i progetti futuri.

Grazie per aver accettato la nostra intervista. Ci può raccontare qualcosa di Lei, e di come è nata l’organizzazione ‘Emergenza Sorrisi’?

Era il 2007 quando, fondai l’associazione di medici e infermieri con il nome di Smile Train Italia Onlus, con l’obiettivo iniziale di operare bambini affetti da labiopalatoschisi nei paesi più disagiati del mondo, offrendo loro la possibilità di sorridere e avere una vita normale. Nel 2013 Smile Train ottenne dal Ministero degli Esteri il riconoscimento di ONG per il lavoro svolto negli anni in paesi come Iraq, Afghanistan, Kurdistan e così il nostro nome è cambiato in Emergenza Sorrisi, includendo nel nostro intervento non solo la labio – palatoschisi, ma anche le ustioni, i traumi di guerra, patologie oculistiche e pediatriche in genere. In molti mi hanno chiesto perché essendo un chirurgo plastico, ho voluto dare precedenza al volontariato;la risposta di trova in una sola parola: solidarietà. Quando sono nel Sud del mondo, quello che ricevo è nettamente di più di quello che do. La mia scelta non è una rinuncia, anzi, è vivere due volte: c’è una grande differenza tra il vedere il viso di un bambino prima dell’operazione e dopo! Rinasco insieme a loro, ogni volta. Questo mi spinge come medico ma soprattutto come uomo, a offrire la mia abilità, la mia professione a servizio di chi soffre e non avrebbe alcuna possibilità di poter guarire senza un aiuto da parte di chi lo sa fare, come noi medici specialisti di Emergenza Sorrisi. La labio-palatoschisi è una patologia complessa, una malformazione che può essere risolta solo con l’intervento chirurgico. Noi insegniamo ai medici locali ad operare per renderli autonomi nel trattamento delle malformazioni del volto, in modo che possano dare risposte immediate ai loro pazienti senza dover attendere un aiuto esterno.

Credits: emergenzasorrisi.it
Credits: emergenzasorrisi.it

Come vi organizzate per le vostre missioni e quanti volontari riuscite a reclutare?

Le missioni si svolgono nei Paesi che presentano la maggiore incidenza di patologie malformative del volto; il Ministero della Sanità locale ci contatta e invita proprio per l’elevato numero di casi presenti nel paese, così noi iniziamo la parte logistica – organizzativa in collaborazione con l’Ospedale locale e i nostri cooperanti. Il reclutamento dei medici volontari italiani è la parte più facile, tantissimi sono i professionisti disponibili a partire con noi e ad impegnarsi per aiutare questi bambini. I nostri volontari sono numerosi, oltre 260, quindi è sempre dura scegliere i pochi che faranno parte dell’équipe che è composta da un numero limitato di personale e che prevede la presenza di : Chirurgo Maxillo Facciale e/o Plastico, Pediatra e Neonatologo, Anestesista – Rianimatore,Infermiere, logista. La missione prevede una prima fase di Screening, durante la quale si visitano centinaia di bambini che giungono all’ospedale. Nei giorni precedenti l’inizio della missione i nostri cooperanti locali diffondono la notizia del nostro arrivo tramite TV, stampa e cartelloni pubblicitari, in modo che i genitori dei bambini con labbro leporino portino i bambini per essere visitati ed eventualmente inseriti nelle liste operatorie dei giorni successivi. Subito dopo aver valutato lo stato di salute dei bambini da operare iniziano gli interventi chirurgici a cui il personale locale medico e infermieristico partecipa attivamente affiancando il nostro personale. Subito dopo lo screening iniziano gli interventi chirurgici che proseguono per tutta la durata della missione, ed in genere si visitano 120/180 bambini e di questi tra i 60 e i 100 vengono operati.

Quali sono le principali difficoltà che incontrate nei vari Paesi in cui operate?

Dal punto di vista logistico e strutturale veniamo sempre messi alla prova per la mancanza di attrezzature adeguate, che cerchiamo di fornire attraverso i fondi destinati ai nostri progetti. In ogni missione portiamo dall’Italia un cargo di medicinali e materiale chirurgico monouso, per far fronte agli interventi chirurgici. Sul piano culturale le difficoltà maggiori risiedono spesso in credenze popolari, religioni, wodoo per cui i bambini con labbro leporino sono considerati maledetti e per loro l’unica via di guarigione sono riti e stregonerie. La nostra missione è anche quella di sfatare queste credenze popolari e far capire alle persone che è una patologia, che si può guarire solo con un intervento chirurgico.

La malfunzione del labbro leporino interessa la maggior parte dei paesi in via di sviluppo. A quali rischi va incontro un bambino che non viene curato?

I bambini che nascono con labbro leporino possono nascere prematuri. Inoltre il tasso di mortalità entro i primi 5 anni di vita di bambini con labio palatoschisi è molto più alto rispetto ai loro coetanei sani. Questo è dovuto alla loro maggiore esposizione a patologie respiratorie, alla malnutrizione non riuscendosi a nutrire adeguatamente. Infine , in età scolare, se non operati sono soggetti a emarginazione e isolamento proprio per la loro condizione fisica. Sono esclusi dalla vita sociale e a volte tenuti nascosti dalle famiglie per quelle credenze popolari di cui parlavo prima che li definiscono maledetti.

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Come agite in contesti disagiati in cui l’assistenza e l’esperienza medica è scarsa o assente? Qual è il vostro modus operandi?

Durante ogni missione umanitaria cerchiamo di rendere i medici autonomi nel prestare cure adeguate ai propri pazienti. Questo obiettivo di medio periodo segue il principio “Learning by Doing” strategia di sostenibilità attraverso l’insegnamento/apprendimento, riservata ai medici stranieri che seguono i nostri percorsi formativi. La presenza di medici preparati in loco di fatto porta con sé vantaggi sia in termini di riduzione del numero di bambini affetti da simili patologie, i bambini possono beneficiare dei trattamenti chirurgici nei Paesi di appartenenza senza dover attendere l’arrivo di medici stranieri, sia in termini di aumento della confidenza e della fiducia della popolazione nei sistemi sanitari locali. Successivamente si passa alla creazione di Centri di Eccellenza equipaggiati per la cura delle malformazioni congenite del volto. Questa modalità fa si che in futuro non troppo lontano le missioni chirurgiche non rappresentino più l’unica possibilità di cura per migliaia di bambini. In Kurdistan, Iraq e Indonesia abbiamo già posto le basi per delle strutture specializzate all’interno degli ospedali dove abbiamo svolto le nostre missioni chirurgiche. In Benin e Congo sono nate le nostre prime “affiliate” Emergenza Sorrisi Benin e Emergenza Sorrisi Congo, che hanno la finalità di curare autonomamente i propri pazienti.

Vi è mai capitato di dover affrontare interventi in Paesi in guerra? Se sì, come avete agito in quelle circostanze?

In Pakistan, in Iraq, in Afghanistan le situazioni sono difficili per la popolazione, stremata da anni di conflitti. I bambini sono coloro che pagano il prezzo più alto di queste situazioni; non vanno a scuola, non sono sicuri nelle loro case, abbiamo visitato i campi profughi in Kurdistan e tanti, troppi bambini vivono in condizioni esasperate. Noi prestiamo cure mediche specialistiche laddove ce ne sia bisogno. Ecco perché continuiamo a venire in Iraq, ecco perché siamo oggi a Nassiriya ad operare decine di bambini, ma anche adulti, con esiti di ustioni . Alcuni di loro hanno dferite in seguito ad attentati. Altri per incidenti domestici che avvengono in contesti dove la sicurezza domestica è compromessa anche a causa della guerra. I bambini pagano troppo spesso le conseguenze delle azioni degli adulti. Noi ogni volta che possiamo torniamo qui, in mezzo a queste persone che aspettano i medici italiani per poter guarire.

Credits: emergenzasorrisi.it
Credits: emergenzasorrisi.it

Avete trovato qualche difficoltà a curare le malattie che avete riscontrato nei piccoli pazienti?

Durante le missioni chirurgiche ci sono sempre casi complessi, patologie gravi che non possono essere trattate sul posto per il poco tempo della missione e per l’assenza di apparecchiature idonee soprattutto nel post operatorio. Non appena rientriamo in Italia dopo la missione lavoriamo per portare questi bambini nei nostri Ospedali e fornire loro le cure necessarie. Nessun bambino è lasciato indietro. Proprio a giugno abbiamo operato al Policlinico Gemelli di Roma un bambino del Senegal che aveva una grave patologia ad un occhio e rischiava di morire. In questi giorni è tornato a Roma e sta bene.

Quali storie in particolare vi sono rimaste impresse nel cuore?

È difficile ricordarne solo una. Tutti i bambini che visitiamo e operiamo ci rimangono impressi nel cuore. Il caso particolare di Zahra ha colpito tutta l’équipe, quando incontrandola nel giugno 2015 ha potuto constatare quanto la sua vita sia realmente cambiata dopo l’operazione. Zahra all’età di otto mesi è stata operata nel dicembre 2014 a Roma, perché era affetta da uno stato avanzato della malattia e non era possibile operarla durante una missione nel suo paese d’origine per la mancanza di strumenti adeguati alla sua complessità. Ricordiamo la storia di Chico, un piccolo bambino del Mozambico abbandonato dai suoi genitori per una malformazione al voto, curato dai chirurghi volontari e adottato da una famiglia italiana. E quella di Shabana, una bimba afghana: aveva un tumore al volto, è stata operata e ora sta bene. Abbiamo creato una sezione nel nostro sito che si chiama Sorrisi dal Mondo proprio per raccontare le più significative, ma ogni sorriso restituito è per noi importante. Oltre 3200 bambini operati in 70 missioni è un risultato che ci rende fieri di quello che stiamo facendo.

Quali sono i vostri progetti futuri per ‘Emergenza Sorrisi’?

Aiutare sempre più bambini, restituire sempre più sorrisi, coinvolgere sempre più medici e persone che possano aiutarci. In questi giorni abbiamo una campagna di raccolta fondi attiva tramite sms solidale che si chiama “Il Sorriso dei Bambini”. Vogliamo aiutarne sempre di più e nel minor tempo possibile, ma per fare questo ci occorre l’aiuto di tutti. Un sms di 2 euro al 45599 permetterà a tanti bambini di non dover aspettare a lungo di poter guarire.