I matrimoni gay rappresentano da tempo una tematica piuttosto controversa, e non solo in Italia: innumerevoli sono state le proposte di legge avanzate nei Paesi europei ed extraeuropei, ma a ben poche di queste proposte è stata in seguito data un’effettiva legittimità. Del resto, i posti in cui si può contrarre legalmente matrimonio tra persone omosessuali sono solo: Spagna, Portogallo, Paesi Bassi, Belgio, Svezia, Norvegia, Danimarca, Islanda, Canada, Sudafrica, Argentina, Messico, qualche stato del Nordamerica come Iowa, Vermont, Massachusetts, Connecticut, New Hampshire, New York, e Washington DC.

Tra tutti, i veri precursori in questo campo furono i Paesi Bassi, che legalizzarono i matrimoni gay nel lontano 2001: seguirono a ruota Belgio e Spagna, dove l’istituzione divenne legale nel 2003 per l’uno e nel 2005 per l’altra. In questi casi, comunque, requisito indispensabile per unirsi in matrimonio è la residenza: perlomeno uno tra i due membri della coppia dovrà, perciò, presentare la documentazione relativa alla richiesta di residenza. Una procedura i cui tempi e le cui dinamiche variano molto da Paese a Paese: in Belgio, per esempio, si esige che chi ha intenzione di sposarsi sia residente in territorio belga da almeno tre mesi.

In Canada, invece, è tutto molto più facile: non serve che una richiesta di celebrazione del matrimonio per essere accontentati. Ovunque sia possibile contrarre matrimoni gay, però, verrà anche richiesto di esibire documenti che certifichino il fatto di non essere sposati nel Paese d’origine, come il certificato di stato libero.

Da Paese ottuso qual è, l’Italia non riconosce come validi i matrimoni gay contratti all’estero: una limitazione che il Bel Paese è quasi l’unico a portare avanti. Difatti, in Paesi europei come la Francia, le unioni matrimoniali tra omosessuali contratte fuori vengono riconosciute, e in altri come l’Inghilterra e la Germania esistono altre possibilità che investono degli stessi diritti e degli stessi doveri dell’unione coniugale.