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Nella giornata mondiale contro la violenza sulle donne, giunge forte la voce della campagna che alcune ragazze indiane hanno lanciato, chiamata #HappyToBleed.

Nel tempio di Sabarimala, nel sud del Kerala, una delle mete di pellegrinaggio più famoso per gli Induisti, è stato deciso, infatti, di vietare l’accesso alle donne nell’età fertile, finché non sarà inventata una macchina in grado di capire se abbiano le mestruazioni o meno. Questo perché per gli uomini indù le donne in quel periodo sono da considerare impure.

Da ciò la decisione di Nikita Azad, una ragazza di vent’anni, di lanciare su Facebook l’hashtag #HappyToBleed, accolto con favore da molte donne, indiane e non, che le invita a postare sui social una loro foto mostrando tamponi e assorbenti: per mostrare la naturalezza della cosa e rivendicare il proprio diritto alla preghiera, per combattere il sessismo, la discriminazione e i pregiudizi degli uomini, ribadendo che le donne non sono proprietà di nessuno, siano mariti, padri o la società stessa.

Questa notizia apre un dibattito da molto tempo discusso in tutto il mondo e soprattutto in India dove, secondo i recenti dati, avviene uno stupro ogni 22 minuti e dove le donne, come in molti posti del mondo, sono ben lontane dall’essere considerate altro oltre a mezzi per perpetrare la specie.

In India, nonostante la legislazione vieti ecografie a donne incinte sotto i 35 anni, il 99% degli aborti vede la morte di soli feti di sesso femminile. Le bambine sono considerate un peso, un investimento senza nessun ritorno, soprattutto per le caste più basse. Le vedove rimaste senza marito il più delle volte vengono cacciate dalla famiglia del coniuge perché ormai inutili e vanno ad affollare i templi dedicati o, ancora, sono molto numerosi i casi di omicidio rivolti a donne date in spose e le cui famiglie non soddisfino la dote richiesta.

In una società così vincolata a regole antiche e così piena di pregiudizi sessisti risulta ancora più evidente quanto la campagna lanciata da queste ragazze coraggiose sia importante. “Felici di sanguinare” in quanto donne, in quanto portatrici di vita e, come ricorda una delle sostenitrici della campagna, gli uomini dovrebbero tenere ben presente questo: come è possibile considerare impuro ciò che ti ha permesso di essere al mondo e ti ha custodito dentro sé per 9 mesi? Una domanda lanciata come provocazione a tutti gli uomini indiani ma anche a tutti gli uomini del mondo, che troppo spesso dimenticano che senza le donne, l’umanità difficilmente sarebbe arrivata fin qui.