Alta cucina e chef stellati
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Ogni grande Chef ha un grande sogno nel cassetto: ottenere le fantomatiche stelle della guida Michelin, cosi’ come i grandi atleti aspirano alle medaglie olimpioniche per raggiungere i tre podi.
Tale riconoscimento rappresenta, infatti, un segno distintivo dell’alta cucina e conferisce prestigio e maggiore visibilità. La stella nasce dalla Guida Michelin, che oggi è uno dei riferimenti più autorevoli nel campo del turismo enogastronomico, uno strumento nelle mani di ogni viaggiatore che si rispetti, e che cerca l’eccellenza della tavola in tutti i luoghi che decide di visitare.

Oggi, considerarla una semplice guida è riduttivo: è un fenomeno di massa che ha la capacità di orientare le scelte culinarie dei ristoratori e di chi fa cucina, prima ancora che vengano presi in considerazione i gusti degli utenti della ristorazione. Ma le stelle influenzano anche le scelte del viaggiatore. Con una stella la cucina è di buon livello, ma tradizionale. Due stelle significa che la cucina è l’espressione creativa dello chef. Con tre stelle si tratta davvero di un grande ristorante, dove tutto deve essere perfetto, in ogni dettaglio.

Sebbene sia vero che la Michelin Star è riconosciuta al ristorante, il credito è riferito allo chef responsabile della cucina. La stella permette di entrare in un mondo diverso in cui la considerazione da parte degli altri chef è molto elevata. Successo, fama, interviste e nuovi clienti: il tutto tradotto in visibilità. Se poi si è in gamba si cresce, altrimenti la stella può essere anche un’arma a doppio taglio e causare parecchi disastri.

Il potere che questo strumento ha di decidere le fortune o le sfortune dei ristoranti di alta cucina ha sempre creato forti pressioni sui cuochi e i ristoratori. Tormentati dalla ricerca della perfezione, in molti hanno deciso di togliersi la vita per motivi legati alla professione che li mette costantemente alla prova: tra la necessità di inventare sempre nuovi piatti, la volontà di non deludere le aspettative dei clienti, il perfezionismo nel proporre sempre un impeccabile servizio e una vita privata spesso vittima dei ritmi forsennati. La presenza di guide, blog, siti di recensioni dei ristoranti non ha certo migliorato le cose negli ultimi anni.

Il caso più celebre è quello che riguardò Bernard Loiseau, cuoco francese tra i più famosi e apprezzati, proprietario di La Côte d’Or in Borgogna e di altri tre ristoranti, autore di libri di cucina e di prodotti gastronomici di larga distribuzione, che nel 2003 si suicidò pochi giorni dopo aver appreso che il suo locale avrebbe potuto perdere la terza stella, che deteneva fin dal 1991 (cosa che poi non avvenne: La Côte d’Or ha tre stelle Michelin tutt’ora). A lui dedicato “Il perfezionista”, un romanzo che cerca di raccontare i retroscena della vita del grande chef francese, le implicazioni del successo, la lotta estenuante per restare ai vertici della haute cuisine, ma anche il suo eccessivo perfezionismo, la paranoia, i vizi e gli eccessi che, forse, lo hanno spinto a compiere il gesto estremo.

L’ultimo chef a decidere di farla finita è stato Benoît Violier, a capo del ristorante con tre stelle Michelin all’Hotel de Ville a Crissier vicino Losanna, da poco eletto primo del mondo dalla classifica francese “La Liste”. A 44 anni, il giorno prima della presentazione dell’edizione francese della guida Michelin, Violier si è sparato nella sua casa svizzera.
Il mestiere di chef è delicato, serve una vocazione vera. Servono talento, la calma ascetica di un monaco zen e molta resistenza alla fatica.