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Stupidità? Quante volte si è ricorso a questa parola per motivare anche piccoli insuccessi. A scuola, a lavoro, nel gioco: il cervello affronta ogni giorno prove di abilità che ne mettono in luce le fragilità e alzi la mano chi non ha mai pensato di essere affetto da un vero e proprio virus. Ma esiste davvero?

Si chiama scientificamente ATCV-1, oppure molto più semplicemente “virus della stupidità“. Si tratta di un batterio scoperto, per puro caso, dai ricercatori della scuola di medicina John Hopkins e dell’Università del Nebraska, che provoca la diminuzione delle capacità cognitive negli individui che lo contraggono. Si parla di casualità perché i due scienziati erano impegnati, in realtà, nell’analisi di campioni di culture della gola quando si sono accorti della presenza di questo microbo su alcuni individui.

Una volta individuato ne hanno così studiato gli effetti: è stato effettuato, come prima cosa, un test su 92 volontari, che ha dimostrato che il 43,5% aveva contratto l’infezione virale. Non solo: chi di loro era stato designato come “malato”, aveva ottenuto risultati del 10% inferiori di 7-9 punti rispetto alla media.

Nello specifico, i “non sani“, avevano difficoltà nel disegnare una linea di connessione tra una sequenza di numeri e un’altra e dunque un livello di attenzione più basso e una diminuzione della consapevolezza spaziale.
Nessun nesso è stato trovato invece, tra la diminuzione delle capacità cognitive e fattori quali sesso, livello d’istruzione e sigarette fumate.

Gli scienziati però non si sono accontentati dei primi esiti e ne hanno verificato l’accuratezza prendendo come cavie per il successivo esperimento alcuni topi.
Secondo le analisi, il gruppo dei topolini presentava le stesse difficoltà dei primi soggetti: scarso interesse per i giochi nuovi e minor capacità di orientarsi.

Nel rapporto conclusivo pubblicato sulla rivista Proceedings e negli atti dell’Accademia ufficiale delle scienze, si è resa ufficiale dunque l’esistenza del virus della stupidità.

Robert Yolken, autore principale dello studio ha affermato successivamente: “Questo è un esempio lampante che dimostra che i microrganismi che portiamo possono influenzare il comportamento e cognizione“.

Nessuna spiegazione però è pervenuta su un eventuale contagio. In molti si sono infatti chiesti se sia possibile che il virus venga trasmesso.

James L. Van Etten ha illustrato la sua idea in un’intwervista al Newsweek: “Non c’è ragione di credere che ci sia una trasmissione tra le persone o gli animali. Una delle mie ipotesi è che gli agenti patogeni possano infettare un altro microrganismo tra le alghe e gli uomini. Questo potrebbe essere il modo in cui il virus arriva nella gola“.

Ma gli stessi scienziati brancolano ancora nel buio, alla ricerca di una risposta plausibile sulla questione.