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Come tutti sappiamo il 21 Dicembre è il giorno più corto dell’anno: si riducono le ore di sole e si allungano quelle di buio.
Il sole arriva alla sua distanza maggiore rispetto all’equatore, per poi riprendere un nuovo ciclo che lo vedrà splendere sempre un po’ di più.
Ma cosa c’è dietro alla giornata più buia dell’anno?

Miti, leggende e tradizioni devono la loro nascita proprio a questa data e al significato intrinseco che questa comporta.
I nostri antichi, specialmente quelli più “datati”, basavo la loro intera esistenza sul ciclo solare e sull’alternarsi delle stagioni, fondamentali soprattutto per la maturazione delle coltivazioni e la produzione di sostentamento alla vita.
Durante il solstizio il sole raggiunge la sua fase più debole in termini di luce e calore, dando quasi l’idea di poter terminare nell’oscurità, per poi tornare forte e splendente, vincendo le stesse tenebre nel quale sembrava stesse sprofondando.

Noi siamo abituati a questo ciclo che si ripete da millenni e abbiamo tutti gli strumenti per studiare e capire i fenomeni che ci circondano, quindi la cosa non ci spaventa più, ma provate a immaginare per un momento i nostri predecessori alle prese con le speranze che la vita non finisse ogni anno, per mancanza di conoscenza o eccesso di superstizione.

Non è un caso che il Natale cada proprio il 25 Dicembre, infatti, questa data rappresenta per molti religioni (così come per il cristianesimo) il ritorno alla vita, la rinascita del sole (da sempre simbolo divino) e di tutto ciò che la luce produce e fa nascere.

In termini iconici sono molte le divinità nate proprio in questo giorno, basti pensare al dio Sole babilonese Shamash, festeggiato nel 3000 a.C. circa, in Egitto si festeggiava la nascita del dio Horo e il padre, Osiride, si pensava fosse nato nello stesso periodo, in Messico nasceva il dio Quetzalcoath e l’azteco Huitzilopochtli, il dio Bacco in Grecia, il dio Freyr, figlio di Odino e di Freya, era festeggiato dai popoli nordici e poi ancora Zaratustra in Azerbaigian, Buddha in Oriente, Krishna in India, Scing-Shin in Cina, mentre in Persia, si festeggiava il dio guerriero Mithra, altresì chiamato il Salvatore, a Babilonia nasceva invece il dio Tammuz, figlio della dea Istar, rappresentata col figlio fra le braccia e con un’aureola di dodici stelle che gli incorniciava il capo.

Come il Natale, anche il Capodanno deve i suoi festeggiamenti alle superstizioni, i romani infatti proprio in quei giorni celebravano il Dies Natalis Solis Invicti, il giorno del Natale del Sole Invitto, quando la luce e il calore tornavano pian piano ad avvolgere la terra, facendo cessare il periodo di ciclo negativo del sole.
Ogni simbolo legato al periodo natalizio va a collocarsi nell’era dei tempi, come quando i popoli germanici usavano l’abete (sempreverde e quindi simbolo di speranza) per il fuoco della stufa. Addobbare l’albero vuol dire, quindi, rievocare la luce del rituale del falò dei nostri antenati, rito che si prolungava fino al giorno dell’epifania.

Il vischio, sotto il quale si usa dare un bacio al proprio amato, era sacro ai druidi, poiché era considerata una pianta discesa dal cielo e quindi di origine divina. Il fuoco, i falò, sono tutt’oggi simboli di fraternità e socializzazione, di scambio e di calore e come all’epoca danno caldo e luce in momenti di freddo e buio, ricalcano quindi il vecchio simbolo originario di speranza e fede.

Qualsiasi sia il nostro credo, dunque, o la nostra religione, ricordiamo che la base dalla quale partire è sempre la stessa: la rinascita, l’unione e la speranza in noi e in un futuro di pace e armonia.