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Bruxelles era davvero un sogno.
C’arrivammo da Roma, con un volo pagato poco. Molto poco. E durato abbastanza, oltre 2 ore, con partenza all’alba. Era la prima tappa del nostro Interrail, la prima meta, la prima partenza. Il viaggio, non è importante ma è bene illuminare anche i contorni, era di quelli senza grandi ambizioni: zaino, amici, voglia di conoscere. Anche il Belgio.

Il primo ricordo di Bruxelles è l’odore di cornetti all’arrivo in una delle stazioni della metropolitana. Non lo so, e non lo voglio sapere, se la bomba è esplosa in una di quelle stazioni nelle quali sono stato. Credo che sia il particolare più insignificante, oggi. Sono atterrato in quell’aeroporto, questo purtroppo l’ho già capito. Ma a Bruxelles ci sono stato un giorno appena, dal mattino fino al mattino seguente. Senza un posto in cui dormire, in una giornata d’Agosto piovosa, con la temperatura che scendeva sotto i 20°. Vallo a spiegare a chi come me ad Agosto non sa dove dormire, per il caldo. Era solo la prima tappa, avevamo gli occhi riposati, non dormivamo da due giorni ma non avevamo sonno.
Avevamo una cartina, da turisti scrupolosi: visitammo tutti i punti d’interesse in un giorno. Andammo all’Heysel, in un pezzo di città desolato, quasi abbandonato. Come se ci fosse l’onta di una tragedia vergognosa, rimossa in maniera inconscia. Chissà se Bruxelles saprà cancellare così anche questa tragedia. Non sarebbe giusto, però.

A Bruxelles abbiamo provato a dormire in stazione, il pavimento di marmo era freddo ma bastava un tappetino per stare bene. Poi la polizia, l’avviso della chiusura della stazione per qualche ora nella notte. C’erano due ragazze poco più in là. Diciottenni o giù di lì. Con uno zaino grande almeno quanto il nostro, provenienti da chissà dove. Forse il sogno dell’Europa unita era lì. In quella stazione per 5 minuti: ventenni provenienti da chissà dove con la voglia di viaggiare, camminare, conoscere e conoscersi. Vivere.

Ma se alla stazione non si può stare nelle ore notturne ci fermiamo tutti nella Grand Place. C’è una persona che brandisce una bottiglia di vodka vuota e a malapena si regge in piedi, fa un po’ paura. C’è un mendicante dalla pelle scura, ci dice che si chiama Mohamed, fa molta meno paura. Lui non si regge in piedi per davvero, ma quando qualcuno gli regala dei soldi viene a darci 5 Euro. Chissà perché. Forse aveva scambiato anche noi per mendicanti, e chi ha fatto l’Interrail capirà perché. “This is for you”. Bisogna insistere per dirgli che con quei soldi può comprare da mangiare, piuttosto che regalarli a tre ragazzi che sono lì per divertirsi e per viaggiare. Chissà se l’ha capito, ma alla fine i soldi se li è ripresi, per fortuna. Non era europeo, non di nascita credo, ma quel giorno faceva parte della nostra Europa.
Di quella per cui basta un treno, due amici e uno zaino. Era quella l’Europa che avevamo sognato, e che muore lentamente, agonizzante, tra guerre perenni e strategie del terrore. Tra le bombe ad Ankara e quelle in Siria, che sembrano non esistere. Tra la follia religiosa e la follia bellicistica di chi non riesce, o non vuole, capire che questa guerra non nasce da motivi religiosi o razziali ma da motivazioni geopolitiche più profonde. E poi invoca bombe, guerre, pulizie etniche: come se le bombe che valgono sono solo quelle europee. In questo l’Europa sarebbe dovuta diventare mondo, ma non c’è riuscita. Ha tristemente fallito. S’è fatta Occidente esportando con la forza i propri valori ai danni di chi Occidente non è. In nome del Dio denaro, al quale ha risposto, col terrore, Allah.

Ma in tutto questo, ha perso quella nostra Europa, radunata per cinque minuti in una stazione di Bruxelles.
Perché Bruxelles era un sogno, d’Europa. Un sogno svanito.

[A cura di Giuseppe Andriani]