L’allarme ufficiale è ormai stato lanciato: la carne rossa e le carni lavorate come i salumi e gli insaccati, se consumate in quantità smodate, possono provocare il cancro. Le più pericolose per la Iarc (l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sui Tumori dell’Organizzazione Mondiale della Sanità), a quanto pare, sono proprio le carni sottoposte a procedimenti di salatura e affumicatura, come prosciutti, pancette, salsicce, carni inscatolate: consumarne 50 grammi al giorno, infatti, aumenterebbe il rischio di sviluppare tumori del 18%. La carne rossa, invece, è stata classificata come ‘probabilmente pericolosa’: una porzione quotidiana di carne rossa da 100 grammi potrebbe far aumentare le possibilità di contrarre il cancro (a colon, pancreas, prostata) del 17%.

Delle informazioni sconcertanti soprattutto se incrociate con i dati della FAO, secondo i quali il consumo di carni nel mondo, lungi dal ridursi al di sotto della soglia massima consigliata di 300 grammi alla settimana, è andato a incrementarsi al livello internazionale, con Sudamerica, Africa settentrionale e orientale e Asia orientale in vetta alla classifica dei più carnivori del mondo: soltanto in Asia orientale, nel 2015 i chili di carne consumati pro capite sono passati da 8,7 che erano negli anni ’70 a ben 50. E la media complessiva nel mondo non è di certo rassicurante: sono stati stimati, infatti, oltre 41 chili di carne pro capite consumati ogni anno.

I meno carnivori, invece, sono i Paesi in via di sviluppo come Ghana, Mozambico, Tanzania e Zambia, insieme con India, Bangladesh ed Etiopia dove, per ragioni legate a cultura e religione locali, non si superano i 4 chili di carne pro capite nell’arco di un anno. Seguono l’Argentina con 86,6 chili, gli Stati Uniti con 90 chili e l’Australia con 90,2 chili. In Europa, invece, la media è di 64,8 chili di carne all’anno.

E in Italia? La situazione non è di certo rassicurante: secondo i dati raccolti dal Wwf, il consumo di carne sarebbe aumentato di più del 190%, gli italiani sarebbero passati, cioè, dai 31 chili consumati negli anni ’60 ai 190 chili procapite nel 2011. La carne è diventata, perciò, la fonte di oltre il 40% delle proteine assunte dai nostri conterranei. E a fronte di una richiesta così ingente, anche la produzione mondiale di carne è aumentata a dismisura: i capi allevati, tra suini, bovini, ovini, pollame, ecc., sono all’oggi quasi 27 miliardi.

Frattanto, la Coldiretti si è prodigata nel tentativo di difendere le carni italiane, specificando quanto esse siano più sane delle altre perché non trattate con ormoni come nel resto del mondo: la prova, dicono, sta tutta nella longevità della popolazione italiana che in genere supera l’ottantina d’anni. Inoltre, proseguono, non si tiene conto del fatto che la maggioranza dei prodotti sotto accusa sono pietanze che, come hot dog e bacon, non fanno parte dell’alimentazione italiana. E come potrebbe un etto di crudo di Parma corrispondere a una quarantina di sigarette?