giovedì, 10 Luglio 2025

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Vivere nel disordine aiuta ad affrontare meglio le avversità della vita

Vivere nel disordine aiuta ad affrontare meglio le avversità della vita, a dirlo è uno studio pubblicato sul ‘Journal of Consumer Research’: “Può capitare che la nostra casa sia in disordine, esattamente come la nostra giornata: vivere questa situazione senza provare ansia rivela che sappiamo reagire positivamente alle situazioni complicate”, confermano gli esperti.

Niente paura per scarpe fuori posto, vestiti ammassati in ogni angolo della stanza – divani, letti, sedie, scrivanie a mo’ di appendiabiti -, bagno in disordine e libri e quaderni alla rinfusa: la caccia al tesoro inizia adesso. In realtà tutto questo rappresenta una perfetta capacità dell’individuo di saper gestire al meglio i problemi della vita e le situazioni più difficili.

I ricercatori hanno svolto un esperimento su delle “cavie”: hanno osservato le reazioni di un gruppo di persone di fronte al caos. Dovevano fotografare le stanze più pulite e ordinate e metterle a confronto con quelle più disordinate e caotiche: i commenti sono stati diversi; alcuni erano totalmente
“indifferenti”, altri, resisi conto del troppo caos, sono corsi a mettere a posto. “I più ordinati usano un sistema di classificazione particolare che li aiuta a mettere a posto più velocemente. Ad esempio, c’è chi usa il cosiddetto sistema ‘a un livello’ – continuano gli esperti – in cui, ad esempio, tutti i giocattoli vanno in una cesta, e chi invece usa quelli a due o tre livelli – i giocattoli con determinate caratteristiche vanno raccolti in un tipo di scatola, altri in un’altra”. Ma cosa succede se non si segue più questo criterio? “Alcune persone reagiscono modificando le loro regole e tollerando la situazione”, concludono gli studiosi.

Anche i disordinati cronici, ad un certo punto, provano il desiderio di mettere a posto.
Perché? Perché non continuare a vivere nel caos più totale e irrazionale della propria stanza? “Mettere in ordine la casa significa muovere gli oggetti da un posto ad un altro. Quando pensiamo a dove metterli, a come posizionarli, gli diamo automaticamente un senso; tramite questo processo, le persone costruiscono confini simbolici. Tracciano le linee guida del loro ambiente domestico, dove vivono e hanno interazioni”.

Disordinati o meno, l’importante è non dover fare la gincana.

[Fonte: huffingtonpost.it]

I rapporti occasionali fanno bene alla salute

Aspettavano tutti una scusa, una motivazione scientifica che giustificasse il proprio comportamento ormonale e la risposta è arrivata, in particolare da un gruppo di ricercatori della Cornell University americana.

La domanda esistenziale però non riguardava il buco dell’ozono o l’estinzione dei Panda, bensì le conseguenza psichiche dei rapporti occasionali. Sì, perché per alcuni uomini le divinità di riferimento sono Casanova e Bel Ami, contro i Louboutin e Miuccia Prada delle donne.

La psicologa Zhana Vrangalov, ha avuto la “fortuna” di seguire, con il suo team, per nove mesi le abitudini amorose di 370 studenti, in piena crisi ormonale, analizzando il loro approccio all’altro sesso e alle avventure di una notte.

Il risultato? Viviamo in un mondo che pullula di sociosessuali: il 42% del campione ha, infatti, dichiarato la propria abilità nel passare da una/un partner all’altro con la stessa rapidità di una piega ai capelli o di una serie da quindici di flessioni, prendendo esclusivamente il meglio da questa “immensa opportunità”.

Questo studio sembra suggerire che il sesso occasionale fa bene a chi ci è portato”, afferma la Vrangalov sul magazine Usa Pacific Standard, andando contro i precedenti studi che dichiaravano i rapporti occasionali come fonte inesauribile di ansia e legati perciò all’aumento della depressione.

Ma come sempre la verità sta nel mezzo e, secondo la psicologa, il modo per godere dei benefici di una sessualità effimera, è attuarla da sobri e con le dovute precauzioni.

Sì, perché il giorno dopo una notte brava, iniziata con un cocktail e finita tra le lenzuola, oltre al mattone in testa, siede accanto al Don Giovanni anche lo spettro della paternità. Un divertimento consapevole, al contrario, donerà tranquillità e soddisfazione, senza il pericolo di doversi ritrovare con pannolini e biberon per il resto della vita.

Una vita che a vent’anni è ancora davvero troppo lunga. E che, soprattutto promette ancora tante altre occasioni.

Scatto dopo scatto: la nostra lotta contro il cancro (FOTO)

“Queste foto non ci definiscono, queste foto siamo noi.”

Dichiara Angelo Merendino (ndr).

Tua moglie ha il cancro. E il mondo un po’ ti crolla addosso.
Per voi ha inizio una di quelle lotte che ti attacca su tutti i fronti: il dolore è lancinante, la paura è tanta, le cure sono lente e incerte. Il cancro, poi, lo riconosci: dai capelli che cadono, dalla perdita di peso, dal viso pallido e sofferto. Tutto questo sembra toccarlo con mano attraverso gli scatti di Angelo Merendino, che ha seguito la moglie Jennifer nelle sua lotta contro il cancro al seno.

Queste foto, in ordine cronologico, raccontano la storia di un amore.
Jennifer e Angelo sorridono sorseggiando birra. Il mattino li ritrae assonnati e con gli occhi pieni d’amore. A mano, a mano, nello sguardo di Jennifer emerge la paura, la disapprovazione nei confronti di questo male, i suoi occhi sembrano dire “perché proprio io?”. Poi i capelli iniziano a cadere e la consapevolezza prende il sopravvento. Le cure si intensificano, giorni ti senti a pezzi e smetti di crederci, altri tiri fuori una grinta che nemmeno pensavi di avere e combatti. Circondata dall’amore dei familiari, coccolata dalle fusa del gatto, e trovando conforto in un momento da dedicare a se stessa, un nuovo colore di smalto per non dimenticarsi di essere donna.

Jennifer non ce l’ha fatta.
La fotostoria di Angelo e Jennifer si conclude con uno scatto in cui Angelo la saluta per sempre, e lo fa con un messaggio: “I loved it all”.
Perché in fondo la morte fa un po’ meno paura se l’amore ce l’hai dentro. Puoi portarlo con te per sempre.

[Credit Photo: incredibilia.it]

I giovani d’oggi: carriera al primo posto

I giovani d’oggi sono i più interessati a fare carriera degli ultimi cent’anni: è quanto emerge da una recente ricerca inglese, nel corso della quale 4 esaminati su 10 si sono detti motivati a trovare un buon lavoro e il 14% di loro ha affermato che è il lavoro ciò che più conta nelle loro vite.
Lo studio, incentrato su più generazioni a confronto, ha mostrato le attitudini dei giovani di ogni epoca circa le aspettative lavorative: i risultati hanno evidenziato come i giovani d’oggi, sebbene apparentemente più interessati alla notorietà o a mode quali la selfie-mania, siano i più inclini a mettere la carriera al primo posto nell’arco degli ultimi cent’anni.

Il sondaggio, condotto su sette generazioni differenti per comprendere in quale chiave ciascuna veda o abbia visto le proprie prospettive lavorative una volta finita la scuola, ha rivelato che piuttosto che mancare d’ambizione, i giovani d’oggi sono ben più motivati ad avere successo di molti loro predecessori.

Tra quelli di età compresa fra i 13 e i 19 anni, il 79% ha affermato che rimboccarsi le maniche al lavoro è una delle cose che sta a loro più a cuore. La generazione dei settantaduenni-ottantanovenni, quanti cioè sono cresciuti negli Anni Trenta ai tempi della Grande Depressione, si è attestata come l’unica ad avere le stesse aspirazioni lavorative dei giovani d’oggi.
Per quanto riguarda la generazione dei tempi della Prima guerra mondiale, attualmente ultra-novantacinquenni, le questioni di prioritaria importanza sono risultate essere la patria e la famiglia.
Tra i giovani del periodo post-bellico vissuti durante il boom economico, all’oggi di età compresa tra i 54 e i 71 anni, solo il 62% ha asserito che avere un lavoro di successo è importante.

La storica della Liverpool Hope University, Heather Ellis, che ha lavorato alla ricerca, ha affermato che questi risultati dipenderebbero dal fatto che i giovani d’oggi sono consapevoli di non poter contare su un lavoro fisso per il resto della loro vita: “Invece di rispondere negativamente a questo dato, diventando apatici o arrabbiati, questi giovani cominciano a lavorare già mentre vanno a scuola. Al contrario, quanti sono cresciuti durante il grande boom economico non hanno dovuto preoccuparsi dell’eventualità di non aver denaro a sufficienza per mangiare, sottoporsi a visite mediche o formarsi al livello accademico.