venerdì, 26 Aprile 2024

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Il sospeso: non solo caffè

Bere un caffè e pagarne due era pratica comune nei bar della Napoli ottocentesca: un’offerta indice di grande umanità nei confronti degli indigenti che potevano beneficiarne chiedendo al barista se, appunto, non ci fosse un caffè lasciato “in sospeso” da consumare. Il benefattore e il destinatario del suo gesto di solidarietà rimanevano ignoti l’uno all’altro, l’unico anello di congiunzione tra i due non essendo costituito che dalla lealtà di chi serviva al banco.

L’antica pratica, che col boom economico finì per perdersi, ha pian piano ripreso vita in questi tempi di grande crisi e dal 2011 viene addirittura gestita tramite una vera e propria Rete del caffè sospeso, che comprende più di ottanta bar e locali e venti associazioni dislocate lungo tutto lo Stivale, da Trieste a Lampedusa. Ben presto, però, il sospeso partenopeo ha preso anche altre forme: in primis in alcune zone del Sud, dove si è esteso a quelle salumerie di quartiere in cui si assiste al fenomeno della “spesa sospesa”, con cui il cliente lascia un resto (dai 3 ai 5 euro) al proprio salumiere perché siano devoluti in spese per famiglie in difficoltà.

L’aiuto concreto che si può ottenere mediante una serie di piccoli contributi personali ha spinto anche la Coldiretti Lombardia e il Banco Alimentare a lanciare un progetto ufficiale di Spesa sospesa: per 12 mesi, a partire dal 13 dicembre 2013 è, infatti, possibile – nelle botteghe di Campagna amica di Coldiretti e nei Farmers’ Market della Regione Lombardia – lasciare 3 euro in aggiunta alla propria spesa, una sottoscrizione grazie alla quale il Banco Alimentare consegna a chi ne ha bisogno una borsa con pasta, salsa di pomodoro e uova. Da allora, l’iniziativa – presentata inizialmente presso la bottega agricola in corso San Gottardo 41 a Milano – ha riscontrato una buona adesione, permettendo così la consegna di 150 piccole spese.

E, ancora: è da marzo che si è diffuso anche il “pane in attesa”, che in meno di un mese dal panificio Spiga d’Oro di Messina ha raggiunto Trento, passando per Napoli e Lecce, grazie all’associazione culturale Amici della Città. Così, chi acquista del pane può lasciare un contributo a piacere in un contenitore appoggiato sul bancone: non appena si raggiunge la cifra necessaria all’acquisto di cinque panini, viene preparata una confezione che dei volontari si premureranno di consegnare direttamente ai bisognosi.

Ma il “sospeso” non si è fermato all’Italia, sbarcando anche in Francia: dall’anno scorso i locali di Rouen, in particolare, hanno fatto propria la pratica del “café en attente”, col notevole risultato che alla fine del 2013 soltanto l’attività de “La zèbre à pois” ha registrato la donazione di oltre 200 caffè. E il mutualismo in terra d’Oltralpe non poteva certo privarsi della “baguette en attente”: nata grazie a due panettieri di Puy-de-Dôme, l’iniziativa si è diffusa a macchia d’olio nell’arco di neanche un anno, raggiungendo persino le boulangerie parigine. In Francia, però, non si “sospendono” solo caffè e pane: numerosi sono, infatti, i locali di ristorazione dove è possibile lasciare interi pasti pagati a chi non può permetterseli.

Dal caffè al pane o dalla spesa al pranzo, o persino ai libri, il “sospeso” è senz’altro un’iniziativa che rincuora per la fortissima propensione al mutualismo che si è registrata: eppure, si tratta di un espediente la cui diffusione va a sottolineare quanto le condizioni di vita del nostro Paese stiano peggiorando. Si stima, infatti, che dal 2010 al 2013 le persone rivoltesi alle mense per i poveri siano aumentate di quasi un migliaio (da 260.000 a 330.000) e che siano più di 18 milioni gli italiani a rischio di povertà e di esclusione sociale (il 29,9% della popolazione complessiva): dei dati che – questi no – non si possono “sospendere”.

Stile di vita vegano? Ecco le regole per il sesso

Credit: lamedicinaestetica.com

Il XXI secolo è fatto di cambiamenti, cambiamenti inerenti alla cultura, alla società, alla moda e anche alla filosofia di vita.
Sta infatti avendo sempre più successo la filosofia vegan, che non siede solo a tavola, ma che giace anche sotto le coperte, cercando di abbracciare la natura in tutti i momenti della vita quotidiana.

Ma come si concilia la sessualità con l’essere vegani?

Esatto, anche il sesso deve rispondere a criteri della filosofia vegana, ad esempio contraccettivi, lubrificanti e sex toys non possono essere usati se testati sugli animali.

Partiamo proprio dai contraccettivi: molti profilattici sono il risultato di processi chimici che prevedono dei test sugli animali e la produzione di latex – il materiale più diffuso per i preservativi – non proprio amica dei vegani. Si devono, dunque, evitare condom di produzione vegetale e casereccia, anche perché non proteggono dal rischio di contrarre una malattia sessualmente trasmissibile.
Ci sono comunque molte aziende che producono profilattici vegan che, pur essendo in latex, non contengono additivi chimici. Il costo, però, è superiore a quello dei normali condom.

Profilattici aromatizzati pienamente cruelty-free anche durante le pratiche di sesso orale, per prevenire qualsiasi rischio di contagio anche in questo caso.

Anche per i contraccettivi orali, come ad esempio la pillola, serve un occhio di riguardo. È sempre il ginecologo a prescrivere la pillola, perché la relativa assunzione varia molto da donna a donna, in ogni caso, molte di quelle comunemente in uso prevedono test su cavie animali. In USA, per risolvere questo problema, si usa una barra contraccettiva sottocutanea che non prevede sostanze di origine animale. Si tratta della Ortho-Evra, che purtroppo è difficilmente reperibile in Italia.

Arriviamo ora ai sexy toys. Sono molte ormai le catene che producono “giocattoli del piacere” in pieno stile vegan: realizzati in materiale al 100% vegetale e senza estratti di petrolio – estremamente dannosi per l’ambiente.
Su internet ce ne sono tantissimi a tema, e recentemente ha aperto, a Berlino, il primo sexy shop completamente vegano, che, oltre all’attenzione ad animali e inquinamento, propone un’atmosfera tranquilla e serena, per contrastare la crescente e spudorata volgarità di tanti altri negozi sul genere.

[Credit: greenstyle.it]

Dall’autoscatto alla Selfie mania

Il prestigioso Oxford Dictionary ha consacrato come parola dell’anno il vecchio e comodo autoscatto, ora conosciuto con il termine inglese “selfie“.
E così sopola la moda della “selfie”, anche se a spopolare è la moda della parola “selfie”.
Il risultato? Improvvisamente tutti fanno selfie.

Il selfie non è una pratica tanto nuova: già nella seconda metà dell’ottocento la granduchessa russa Anastasia Nikolaevna è stata la prima a mettere in atto questa pratica di autoscatto.

Molte celebrità, dopo di lei, hanno lasciato ai posteri una testimonianza di se stessi in un momento preciso della propria vita: il regista Stanley Kubrik, Oriana Fallaci come prima donna inviata di guerra, Andy Warhol e Edvard Munch. Lo hanno fatto anche i giovani Beatles negli anni ’60.

Oggi il selfie sembra realizzare la profezia del grande Warhol secondo cui ad ognuno nel futuro toccheranno 15 minuti di celebrità e poi si ritorna alla vita normale.

Se l’autoscatto ed il selfie apparentemente sono la stessa cosa a ben guardare ci si accorge che sono sostanzialmente differenti: l’abitudine quotidiana di fotografarsi in qualsiasi momento della giornata, ormai diventata una mania, è radicalmente nuova rispetto al passato quando la parola d’ordine era “autoscatto”.

Ora si hanno a disposizione tecnologie digitali e tecniche fotografiche totalmente diverse, uno smartphone sempre a portata di mano ed in costante aggiornamento, la memoria digitale che può essere modificata in ogni istante, rendono l’azione sempre più facile e sbrigativa: la foto si fa, si cancella, si ripete, si condivide sui social e poi quasi si dimentica. Non era di certo così un secolo fa.

Chi scattava doveva avere a disposizione una macchina fotografica (allora non proprio a portata di mano e tanto maneggiabile), uno specchio o un cavalletto.

Ma soprattutto cambia il destinatario del selfie: una volta l’autoscatto, essendo frutto di una decisione determinata, non fissava solo l’immagine ma in quella fotografia enivano impresse nella memoria anche le sensazioni, i pensieri, le condizioni di quel preciso istante della vita. Era un’azione, quindi, rivolta a se stessi prima che agli altri. La nuova selfie mania è tutta un’altra storia: l’azione è immediata e come scopo si trova del narcisismo o puro divertimento.

Il social network più puntato per la selfie mania è di certo Instagram, dove l’hashtag “selfie” è utilizzato da quasi dieci milioni di utenti.

Chissà che fine faranno queste selfie nel futuro.

Selfie letale. Un’adolescente muore arrampicandosi su un ponte per fare una foto

Gli adolescenti, quando si tratta di selfie, impazziscono completamente, perdono la testa. Sarebbero disposti a tutto pur di riuscire ad avere quei 15 minuti di gloria – di cui parlava Andy Warhol – sui social network.
Forse era proprio questo che voleva Xenia Ignatyeva quando ha deciso di arrampicarsi sul ponte ferroviario per farsi una foto.
Purtroppo la ragazza, di soli 17 anni, è scivolata e, nel tentativo di salvarsi, ha afferrato un cavo ad alta tensione, è rimasta folgorata e caduta poi sull’asfalto, dopo un volo di oltre 30 metri.
La tragedia ha avuto luogo a San Pietroburgo, più precisamente a Krasnogvardeysky.

I suoi amici, vedendola cadere, paralizzati dallo shock, hanno dato subito l’allarme e hanno chiamato i soccorsi. Nell’attesa hanno anche provato a soccorrerla ma non sono riusciti a salvarla. Tutto è stato inutile. Tutto è successo per un (maledetto) selfie.

Questa tragica storia fa molto riflettere. Xenia era una fotografa dilettante, aveva grande passione, e aveva deciso di scattare una foto di se stessa, davanti a un panorama mozzafiato, con una fotocamera che aveva comprato alla fine del 2013, dopo un lavoro estivo.
Ma ne valeva davvero la pena?

Alcuni psicologi hanno detto che le persone che si fanno selfie sono guidate dal desiderio di prendere il meglio di tutto il mondo per catturarlo nelle loro foto da pubblicare – ovviamente. Proprio per questo alcune persone, e relativi selfie, stanno diventano sempre più estremi.
Non sarà forse che il “fenomeno selfie” ci è un po’ scappato di mano? Riflettiamo sui veri valori della vita, non sui 15 minuti di gloria post-selfie.

[Credit: Mirror.com]