mercoledì, 23 Luglio 2025

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Magik Albert: “Che la magia abbia inizio” (INTERVISTA)

Quando l’ho conosciuto mi ha messo una pallina rossa in una mano e, dopo un “sim sala bim”, le palline rosse nella mia mano erano due. La solita domanda su come avesse fatto è sorta spontanea, accompagnata da un’espressione incredula. Ma un vero mago non svela mai suoi trucchi. Un vero mago sorprende, illude, recita, stupisce. Alberto Coffrini, in arte Magik Albert, giovane talento di Parma, classe ’98, l’ha fatto. E non ho potuto lasciarmi sfuggire l’occasione di avvicinarmi ad un mondo affascinante, misterioso e spettacolare. Un mondo non da comprendere, ma da applaudire.

Alberto, come hai scoperto la tua passione per l’illusionismo?
L’ho scoperta all’età di sei anni, quando i miei genitori mi hanno regalato una scatola di magia a Natale ed è stato amore a prima vista. Ho cominciato a fare giochi di prestigio e da quel momento ho sempre chiesto regali riguardanti la magia. Superati i giochi, la mia curiosità mi ha spinto a conoscere la magiaattraverso libri, così andavo spesso in biblioteca a cercare testi sul tema. C’è stato poi un periodo di circa due anni, in cui ho un po’ messo da parte questa passione, ma poi ho ripreso alla grande partecipando a concorsi e programmi televisivi e tenendo piccoli spettacoli ovunque ne abbia l’occasione.

Pensi sarà questo il tuo futuro?
Non penso sarà questo il mio futuro, ma sarà sempre una passione che porterò con me. Continuerò a coltivarla, dando comunque priorità agli studi, e poi chi lo sa, se crescerà tanto da prevalere su qualcosa di più concreto, ben venga. Non ho ancora un’idea precisa su quello che farò da grande, ho ancora tre anni per rifletterci su, per ora mi godo la mia adolescenza.

Dopo qualche comparsa in TV, su quali altri palcoscenici ti sei esibito?
Mi sono esibito molte volte attraverso un’agenzia grazie a cui ho avuto la fortuna di lavorare anche con i comici di Zelig per quattro serate. Poi ho partecipato al Campionato Italiano di Magia in Valle d’Aosta, riuscendo ad arrivare in finale. Adesso mi esibisco un po’ qua e là, appena ne ho la possibilità o su invito.

Quali caratteristiche pensi debba avere un mago?
Ci sono tanti tipi di mago, per iniziare. C’è il mago comico, il mago classico, c’è il mago moderno. Io, per il mio stile e per la mia personalità, mi riconosco più nel mago classico, nonostante poi i miei giochi richiamino anche lo stile del mago moderno. In generale però un illusionista deve essere spigliato e calmo. L’emozione c’è sempre ed è lei che ti aiuta a non sbagliare e a impegnarti sempre di più, però si impara a domarla. Bisogna essere forti e preparati alle critiche, essere in grado di trasformarle in lezioni e risultati positivi.

Il pubblico è mai riuscito a smascherare un tuo numero?
Partendo dal presupposto che un errore possa sempre capitare, un bravo mago è quello che riesce a deviare velocemente l’attenzione e a condurre così il gioco verso la soluzione. Mi capita qualche volta che a fine spettacolo mi chiedano: “ma hai fatto così, vero?”, e io rispondo nella maniera più evasiva possibile.

Cosa provi quando ti esibisci?
Provo emozioni sia quando mi esibisco che quando assisto ad uno spettacolo. Quando il pubblico applaude me, sento proprio i brividi lungo tutto il corpo ed è davvero bellissimo. Con i riflettori addosso, il pubblico, l’atmosfera, è una sensazione, è il caso di dire, magica.

Hai un idolo a cui ti ispiri?
Jeff McBride. Fa sognare con le sue magie in stile orientale. Uno dei più grandi maghi italiani è invece Mirko Menegatti.

Per finire, lasciaci con una frase da mago…
Noi maghi conosciamo tanti trucchi, ma uno è il più importante: riuscire a far emozionare.

Ecco il video con un’esibizione di Magik Albert .

Il Fidanzato della Fidanzata Psicopatica si racconta (INTERVISTA)

Avere a che fare con una Fidanzata Psicopatica non è per niente facile: scenate di gelosia e crisi isteriche per le spunte blu di WhatsApp sono all’ordine del giorno. E la vittima è sempre lui, il “povero” fidanzato, che non sa più come evitare o placare l’ira della sua compagna.

Noi di Blog di Lifestyle, dopo avervi elencato i suoi comportamenti più comuni, abbiamo fatto due chiacchere con il Fidanzato della Fidanzata Psicopatica più famoso del web. O meglio, con i tre admin che gestiscono la famosa pagina su Facebook.

Ciao ragazzi! Conosciamo tutti “Il Fidanzato della Fidanzata Psicopatica”, ma chi si nasconde veramente dietro questa pagina?

Ciao! Dietro questa pagina si nascondono tre poveri sciagurati Fidanzati di Fidanzate Psicopatiche, il che rende anche piuttosto evidente quanto impegno ci sia stato nel tirare fuori questo nome. La nostra vita si limita tendenzialmente a sopravvivere, nel tempo libero proviamo anche a studiare qualcosa di economia contemplando le vite sociali dei nostri coetanei.
A proposito, tesoro, se stai leggendo stai tranquilla, abbiamo dei ragazzi davanti a intervistarci.

Come è nata l’idea di aprire questa pagina su Facebook?

Ovviamente dietro ogni grande idea si nascondono grandi uomini. I grandi uomini hanno bisogno di grandi ambienti per riflettere. Noi stavamo al cesso. Non tutti insieme, ci mancherebbe. Però voglio dire, due di noi tre ci stavano davvero. Lui mi ha scritto, è stato tutto molto semplice, abbiamo iniziato a chiacchierare ed è venuta fuori l’idea. Poi è venuto fuori qualcos’altro e ci siamo incontrati per discuterne.

Ad oggi avete più di 100 mila like. Vi aspettavate tutto questo successo?

Ora, qui vorremmo fare un appello. Smettetela. A parte gonfiare considerevolmente il nostro ego, non riusciamo a trovare il modo per ringraziarvi tutti, e questo ci fa sentire un tantino a disagio.
Credo che il successo, se di successo si può veramente parlare, sia dovuto a noi tutti, che sopravviviamo e resistiamo quotidianamente. Alla fine sono situazioni che chiunque ha vissuto, se non da vittima quantomeno da carnefice.
Ovviamente le nostre adorate fidanzate sono vittime e noi siamo i terribili carnefici, mi sembra evidente, tesoro ti amo ricordatelo…

Tutti i giorni pubblicate foto di conversazioni reali tra coppie. Qual è lo screen più divertente che vi è arrivato?

Dal momento che ci consideriamo persone simpatiche, originali e modeste la nostra risposta è: “lo screen che deve ancora arrivare”. Ok, ci siamo presi il nostro momento di gloria poetica.
In realtà gli screen più belli sono quelli che non possiamo pubblicare, vi suggeriremmo di chiederli direttamente alle nostre ragazze ma non fatelo, siamo troppo giovani per morire.

Pubblicate foto di altri, ma quanto vi ritrovate nelle situazioni dei messaggi che vi inviano?

Giusto per dare un’idea, abbiamo lasciato i nostri cellulari da dieci minuti e i vari WhatsApp hanno iniziato a intonare la nona sinfonia di Beethoven. Seriamente, un’idea simile non può nascere da zero.
Anzi, vorremmo cogliere l’occasione per spendere due parole: è vero che ci troviamo dentro fino al collo, è vero anche che essendoci coinvolti in prima persona possiamo dire la nostra. Quasi sempre quegli screen nascondono motivi molto più profondi di quanto possa apparire a primo impatto. Insicurezza, mancanza di fiducia, timidezza, distanza… spesso ti spingono a reagire così, ai limiti del ridicolo. Ciò che conta davvero è la consapevolezza che dietro ci sia affetto reciproco. I litigi saranno sempre all’ordine del giorno, è la volontà di superarli e mettere da parte l’orgoglio che definisce le relazioni che contano.
Questa eventualmente mandatela alle nostre ragazze, non tiravamo fuori perle così dall’esame di terza media.

Tre consigli a tutti i fidanzati? E alle fidanzate?

Dunque, oh stolti, udite i saggi consigli. Ai ragazzi: iPhone in modalità Aereo e gita in Canada durante il ciclo, controllo costante della vostra bacheca di Facebook con eventuale eliminazione di tag inopportuni e amicizie sgradevoli, decisi apprezzamenti conseguenti a manicure, pedicure, qualsiasicosacure.
Alle ragazze: disponibilità permanente al gradevole movimento fisico, particolarmente gradita la preparazione di pranzi/cene, completa comprensione in caso di riunioni serali tra amici e compagni. Ovviamente i nostri IMPARZIALI consigli vi condurranno a una vita di coppia esemplare.
Non ascoltate quello che leggete nei cioccolatini, siamo noi i Baci del futuro.

Ritals: essere italiani a Parigi (INTERVISTA)

Crisi, carenza di lavoro, mancanza di prospettive sono tra le più valide ragioni che, da un bel po’ di tempo a questa parte, spingono sempre più italiani a fuggire all’estero, sperando di trovarvi erba più verde della nostra. Ma quella dei nostri cugini francesi lo sarà davvero?

Lo scopriremo seguendo le avventure di Svevo e Federico, i due trentenni protagonisti di Ritals, nuova web series ambientata a Parigi: nell’episodio pilota, apparso in rete un paio di mesi fa, i due espatriati si confrontano con uno delle più drammatiche privazioni cui si va incontro abbandonando il suolo natio, l’assenza del bidet.

Prendendo a prestito il titolo dall’appellativo dispregiativo che francesi e belgi solevano un tempo affibbiare agli immigrati provenienti dall’Italia, Federico Iarlori, caporedattore delle sezione italiana del sito francese Melty.it, e Svevo Moltrasio, sceneggiatore, regista e critico già da una decina d’anni, giocano con i più rinomati cliché sui francesi, senza mai smettere di fare ampia autoironia anche sui luoghi comuni che ci investono quando “gli altri” diventiamo noi.

In vista dell’imminente uscita del prossimo episodio, in onda a partire da domani 14 settembre, noi di Blog di Lifestyle abbiamo incontrato Svevo per scoprire qualcosa in più su questi due Ritals e per capire quanto ci sia da ridere e quanto da prendersi sul serio quando si va a vivere, da italiani, nella capitale più francese che ci sia.

A giudicare dalla complicità che si evince dalle immagini si direbbe che tu e Federico siate nati come coppia comica già nello Stivale. Com’è successo?

Invece no, io e Federico ci siamo conosciuti a Parigi. Tre anni fa credo, più o meno. Abbiamo lavorato per un periodo in un call-center a Parigi: facevamo chiamate in italiano in Italia. D’altronde tutta l’équipe di Ritals viene da quel call-center, ci siamo conosciuti tutti lì.

L’idea di girare la serie, perciò, non vi è venuta a priori, ma deve essere sorta in itinere: cosa vi ha dato l’ispirazione?

Oddio l’ispirazione viene da molto lontano. Intanto dal quotidiano: qui, io, noi amici italiani a Parigi, passiamo tutto il tempo a sottolineare le differenze tra l’Italia e la Francia, tra gli italiani e i francesi. Continuamente, anche con i francesi, tanto da portarli allo sfinimento. Quindi, l’idea di raccontare tutte queste differenze c’è quasi da sempre, da quando sono qui. Al livello artistico, diciamo che si tratta di un’esperienza che fa seguito a un mediometraggio, Intibah, realizzato un anno e mezzo fa e girato con la stessa squadra di Ritals. Ci siamo divertiti, c’è piaciuto il risultato, quindi abbiamo voluto ripetere l’esperienza, ma cercando ‘sta volta di farne un prodotto più “vendibile”.

Avendo già vocazioni ed esperienze di tipo artistico, com’è stato ritrovarsi all’estero a lavorare in un call-center?

Il call center non è stato troppo traumatico, affrontarlo qui ti porta a dire “Ok, è un lavoro di merda, ma io lo faccio perché qui non è casa mia“. E poi, ad esempio, mi ha permesso di scoprire l’atteggiamento diverso che hanno i francesi verso il lavoro: qualunque esso sia, c’è un rispetto diverso che da noi. Insomma, in Italia se lavori in un call-center sei un poveraccio, qui sei comunque qualcuno che si dà da fare.

Hanno tutta un’altra etica i cugini francesi. “Cugini”, poi, di quale grado? Stando alle parole di Cocteau, per citare qualcuno di autorevole, i francesi sono degli italiani di cattivo umore: insomma, è vero che questi francesi non hanno senso dell’umorismo? E, viceversa, sarà proprio il senso dell’umorismo a dare sollievo agli italiani?

Mah, francamente anche noi italiani siamo spessissimo di cattivo umore, io per primo. Diciamo che abbiamo un modo diverso di esprimere i nostri umori. Di certo, pur sapendo che sono generalizzazioni, hanno un senso dell’umorismo e un’ironia decisamente differente. Potremmo anche dire che non ce l’hanno per niente, possibile. Eppure ho visto francesi ridere! Noi, vuoi che ridiamo, che litighiamo o che semplicemente ci confrontiamo, abbiamo meno freni, meno strutture fisiche e verbali che facciano da filtro ai nostri sentimenti, questo mi sembra abbastanza evidente. L’ironia e soprattutto l’autoironia italiana sono qualità che andrebbero salvaguardate dall’Unesco.

La vostra web series gioca, in maniera evidente, sui luoghi comuni che abbiamo sui francesi per auspicabilmente smontarli e superarli: all’inverso, quali cliché i francesi dovrebbero abbandonare nei nostri confronti?

In realtà, non per forza per smontarli, a volte sì, altre volte magari per confermarli e, di conseguenza, ironizzare sul nostro pregiudizio e sulla nostra incapacità ad accettare la diversità. Io penso che i cliché siano spesso discretamente veritieri. Che cliché hanno su di noi? Parliamo ad alta voce: vero. Siamo mammoni: sicuramente molto più di loro. Non siamo fatti per il lavoro: per come lo intendono loro, no, è vero. Facciamo sempre la commedia: vero. Insomma, non credo che debbano abbandonare i cliché, piuttosto dovrebbero conoscerci meglio, perché quello di cui mi sono reso conto è che la stragrande maggioranza dei francesi è terribilmente ignorante riguardo alla cultura, alla storia e all’attualità italiana. Ho sentito certe cose dai francesi sull’Italia che ci faremo un episodio, giusto per dirtene qualcuna: “Ah, ma perché a Roma ci sono ancora resti visibili della Roma antica?”; “Ma voi nel Mediterraneo avete zone di mare bello?”; “Ma voi coi secoli fate un conto diverso, tipo ve ne manca uno, per cui il XV secolo corrisponde al vostro XVI”.

A proposito di episodi, qualche anticipazione sul primo, che lunedì andrà in mondovisione?

Guarda posso dirti che ‘Il bidet’ l’avevamo messo online giusto per gli amici. Non c’aspettavamo un ritorno del genere. L’idea era di far cominciare la serie a inizio 2016. Questo successo c’ha costretto a cambiare strategia e accelerare i tempi. I prossimi tre episodi saranno evidentemente collegati tra loro per capire meglio chi sono i due personaggi e cosa ci fanno a Parigi. Perché oltre agli sketch puntiamo a raccontare anche una storia sui due protagonisti che si sviluppi di puntata in puntata.

Aspettiamo di scoprire quali saranno le altre avventure dei nostri eroi italo-francesi, allora. Vi auguriamo un grande in bocca al lupo, ché dopo questa lunga chiacchierata ti abbiamo già “ammorbato” abbastanza.

Ma sì, tranquilla, c’ho gli anticorpi: 6 anni a Parigi, voi mette!

Musicoterapia, un’arte che va oltre le parole (INTERVISTA)

Credits photo marcofidelfatti

La musica è tra le attività umane quella che attiva il maggior numero di aree nel cervello contemporaneamente.
Parte da qui il nostro viaggio attraverso la musicoterapia, che coniuga due mondi- quello del paziente e del terapista- attraverso una forma di comunicazione non verbale.

Leslie Bunt, docente e esperto di muscioterapia, l’ha definita un’arte che va oltre le parole. Musica e elementi musicali quali suono, ritmo, melodia e armonia, aiutano a favorire la relazione, la comunicazione, l’apprendimento per raggiungere obiettivi terapeutici, come conferma la World Federation of Music Therapy nel 1996 dà questa definizione:

Per entrare più a fondo nel mondo della musicoterapia, su Blog di Lifestyle abbiamo intervistato la presidente FIM -Federazione italia musicoterapeuti- Giulia Cremaschi Trovesi.

Da quando esiste la musicoterapia?

La musica è parte essenziale della vita, per gli esseri umani, da sempre. Da meno di un secolo entra in uso il termine musicoterapia. Per la cultura della Grecia antica, l’educazione musicale era di fondamentale importanza del percorso educativo.

Quali sono gli elementi chiave della musico terapia?

Gli elementi stessi che costituiscono la musica: ritmo – melodia – armonia.

A chi si rivolge la musicoterapia? Quali problematiche affronta?

La musica può far bene e può fare male. La parola è canto, anche se lo abbiamo dimenticato. Musicoterapia
è creare un dialogo diretto attraverso la lettura della persona. Noi siamo corpo, essere nel mondo, noi abitiamo il mondo.
La visione dell’uomo non può essere suddivisa in parti, ossia separare corpo – mente. Questo vale per qualsiasi problematica.

Ci può dare qualche esempio in cui la musicoterapia ha portato a degli ottimi risultati?

Tutti i giorno accadono, negli incontri in musicoterapia, eventi che dimostrano l’efficacia del saper ascoltare una persona, favorire il suo modo di essere, creare un dialogo. Ci sono vari documenti che dimostrano l’efficacia, molti sono sui miei testi.

Ci sono delle tipologie di musica indicate per questo percorso?

Il dialogo in musicoterapia è affidato alle conoscenze, abilità, competenze con le quali il professionista sa calibrare il suo modo di suonare, ossia improvvisare. Se parliamo del pianoforte si tratta di essere abili e competenti nel giocare con ritmo – melodia – armonia.

Un aspetto delicato è quello che riguarda pazienti in coma: come questo tipo di terapia può influire sul paziente?

Creare l’ascolto con una persona in coma è delicato come delicata è la relazione autentica fra persone. Ascoltare una persona attraverso tutta se stessa è sempre un gesto di rispetto, di attesa, di accoglienza, assenza di giudizio.

Quanto la musica può favorire il nostro percorso di crescita personale?

Far del bene agli altri vuol dire far del bene a se stessi. Non si finisce di imparare.