sabato, 20 Aprile 2024

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La Serialist parla con il lettore, in modo ironico, di serie tv in relazione alla società di oggi, per comprendere a fondo cosa vuol dire essere una telefilm dipendente.

Sono meglio di Sherlock Holmes (LA SERIALIST)

Accendiamo la televisione, guardiamo il telegiornale che ci presenta l’ennesimo caso di omicidio. Mentre la polizia brancola nel buio, noi abbiamo già analizzato le possibili arme del delitto, i sospettati, i luoghi del crimine e in cinque minuti siamo giunti alla conclusione che “Il colpevole è il maggiordomo.”

Anche Sherlock Holmes deve essere arrivato alla nostra stessa soluzione, ne siamo sicuri. Il perché è semplice: Sherlock Holmes non è solo un personaggio letterario, è anche una serie tv britannica. A questo si aggiungono gli insegnamenti su come risolvere i casi polizieschi dei vari ed eterni CSI (non finiranno mai, sono come Beautiful), oppure di Castle, The Mentalist e Hannibal.

Procuratevi un consulente

Ammettiamolo. Qui in Italia i casi di omicidio si protraggono per anni, e sapete perché? La polizia non ha un consulente che dia loro una svegliata. Volete mettere un Patrick Jane che finge di poltrire durante il giorno per poi rivelare, in stile Tenente Colombo, il vero omicida? E se lui fa gli insulti, voi occupatevi di fare i consulti.

Se l’arma non c’è, ci sono di mezzo gli alieni

Si brancola ancora nel buio: c’è la vittima ma non si trova l’arma del delitto. Voi avete già analizzato ogni possibilità e del resto è facile come giocare a Cluedo: coltello, forbici o carta? No, niente morra cinese. Se l’arma del delitto non è inclusa negli strumenti prima citati, non c’è altra spiegazione se non quella di assecondare la teoria di Richard Castle: ci sono di mezzo gli alieni.

Ma è un sangue vero quello?

Impariamo dai CSI americani ad analizzare il sangue e ci sembra una cosa forte, peccato che la realtà è ben diversa. Il dilemma ci assale: se il malcapitato è stato rapito da un’entità extraterrestre, vuol dire che non è morto, giusto? E quella macchia rossa sul petto non è sangue, siete d’accordo?

Dov’è finito il cadavere?

Prendiamo il nostro tablet e appuntiamo quanto appreso finora, proprio come dei veri detective. Niente arma del delitto e niente cadavere. E se la vittima fosse stata rapita dal cannibale Hannibal Lecter, che ha deciso di farci un bello stufato?

I soliti sospetti

Siamo quasi alla fine della nostra indagine e abbiamo impiegato circa quaranta minuti, ovvero quanto la durata di un classico episodio di una serie tv. Analizziamo i sospettati e creiamo una rete intrigata quanto la serie di matrimoni di Brooke Logan in Beautiful e cataloghiamo i nostri possibili omicida: moglie, ex moglie, ex marito, suocera, parenti di quinto grado e il cane. Chiunque potrebbe essere il colpevole, ma attenzione a non omettere un piccolo fatto: la vittima non ha nessun parente e odia gli animali.

Nel dubbio, è colpa del maggiordomo

Come dei moderni Sherlock Holmes, indossate cappotto lungo e portate la lente d’ingrandimento per sentirvi presi dalle vostre indagini. E se proprio non dovreste giungere alla conclusione, ricordatevi che in questi casi la colpa è sempre del maggiordomo. Elementare, Watson.

A chi serve la laurea in criminologia quando possiamo risolvere gli omicidi meglio di Sherlock Holmes?

Mi manchi come mi mancano le serie tv (LA SERIALIST)

Credits: homeofthenutty.com/

A noi donne andava bene fino a qualche anno fa: passavamo le serate davanti al computer a guardare le nostre serie tv preferite e discutere con i nostri amici seriali sulla puntata appena vista. Poi è arrivato lui nelle nostre vite e ha cambiato tutto. Almeno cinque sere su sette siamo costrette ad uscire di casa, sottraendoci alla vita da fangirl: niente social network, niente stalkeraggi sui profili ufficiali dei nostri attori preferiti, perché lui deve avere le nostre attenzioni. Sì, ma il problema è che lui non è né Nathan Fillion e né Simon Baker.

Poi arriva l’estate. Le serie tv invernali finiscono ed iniziano quelle estive. E allora chi lo sente quando di nascosto scarichiamo i nuovi episodi e ci piazziamo puntualmente davanti al computer per dedicarci alla nostra vita di fangirl. Lui non può sapere cosa proviamo ogni volta che guardiamo un episodio.

Noi siamo quelle che, quando il matrimonio tra Castle e Beckett non è avvenuto perché l’auto di lui è stata trovata in fiamme, abbiamo pianto pensando al peggio, invece lui si è espresso con insensibilità dicendo che probabilmente lui aveva preferito farsi una passeggiata piuttosto che sposarsi. Che ne può sapere della nostra eccitazione quando finalmente Jane e Lisbon hanno coronato il loro sogno d’amore nel finale di serie di The Mentalist?

E in quelle serate estive quando né lui e né le serie tv ci sono allora nasce il dramma. Lo chiamiamo mentre in sottofondo sta iniziando la sigla di True Detective, – sì quella nuova che mostra un Colin Farrell tremendamente sexy in versione poliziotto duro e cattivo – gli diciamo che ci manca ma stiamo solo mentendo a noi stesse. Lui torna a casa dopo una giornata noiosa e si aspetta che lo abbracciamo, e noi che abbiamo fatto pratica a furia di guardare teen drama da Dawson’s Creek a Gossip Girl, scacciamo distrattamente una lacrima dalla guancia e iniziamo un monologo degno di Meredith Grey per dirci quanto ci è mancata la sua presenza.

Chi vogliamo prendere in giro? L’estate è lunga: saranno tre lunghi mesi senza le nostre serie tv invernali. Sopratutto perché non avremo più scuse per restare a casa a guardare telefilm, dato che lui ci coinvolgerà nella vita sociale, di cui le persone normali sono dipendenti.

Dateci un uomo che possa guardare le stesse serie tv che vediamo noi e ci farete felici.

Dipendenza seriale: quanto siamo malati di telefilm? (LA SERIALIST)

Credits: youtube.com

Cari telefilm addicted, ricordate quando abbiamo parlato di binge watching? Quell’abbuffata di serie tv che potrebbe nuocere alla nostra salute, fino a diventare una droga. Così dicono. La dipendenza seriale è più o meno come il cibo: più ce n’è e più ne vorremmo. Solo che mentre la persona che mangia a volontà diventa obesa, il telefilm addicted diventa malato e finisce col non distinguere più la realtà dalla fantasia.

Certo, capita a chiunque di scherzare su quest’ultimo punto, come desiderare di poter vivere in una serie tv, augurarsi di avere una storia d’amore come quella che si vede nei telefilm, però ricordate che a tutto c’è un limite. Quali sono quelli che ci invitano maggiormente alla dipendenza seriale? Ecco le serie da cui “stare alla larga”, per evitare di cadere nel tunnel.

Don Matteo: la figura paterna

Credits: www.dgmag.it
Credits: www.dgmag.it

Vi chiedete perché dopo dieci stagioni Don Matteo continua ad essere una delle fiction italiane più seguite? Il suo stile è ineguagliabile, sopratutto quando è a cavallo della sua bicicletta, così come il suo metodo investigativo. In grado di ascoltare senza giudicare, capire la verità con clemenza. Don Matteo è la figura paterna che tutti cercano e di cui hanno bisogno per sentirsi al sicuro. Sacerdote fedele con dei doveri morali, rappresenta un modello da prendere ad esempio.

The Flash: sentirsi supereroi tutti i giorni

Credits: www.serialmasters.it
Credits: www.serialmasters.it

Abbiamo preso The Flash come esempio, ma va bene qualsiasi telefilm sui supereroi. La dipendenza seriale si instaura subito con Barry Allen, il protagonista, perché chiunque può identificarsi in lui: brava persona, ragazzo modello, umile, pronto a mettersi da parte per il prossimo, è l’emblema di tutti i ragazzi di oggi che sentono il bisogno di fare qualcosa ‘di grande’ per sentirsi appagati con se stessi. I telefilm con i supereroi però non possono piacere a chiunque, ma una volta iniziati, non se ne può fare a meno.

The Big Bang Theory: sindrome di Peter Pan

Credits: tvzap.kataweb.it
Credits: tvzap.kataweb.it

Il mondo nerd, l’humour e la comicità dello stare in compagnia sono gli elementi chiave di The Big Bang Theory. Lo spettatore segue le vicende dei ragazzi nerd, poco pratici con la vita quotidiana e con le ragazze, ride e riflette insieme a loro, tornando ad essere bambino. In The Big Bang Theory i protagonisti sono un po’ così infatti: tra le loro citazioni sulla fantascienza e le serie tv, il telefilm diventa una sorta di realtà dentro un’altra, e non c’è niente di più dipendente dell’essere trasportati in questo mondo di fantasia.

Breaking Bad\I Soprano\Mad Men: la dura realtà

Photo Credit: Michael Yarish/AMC
Photo Credit: Michael Yarish/AMC

Ci sarà un motivo se questi tre telefilm sono stati considerati tra i migliori scritti e strutturati degli ultimi dieci anni. Un realismo duro, violento e crudele della vita di tutti i giorni. Protagonisti tre uomini che cercano di tenere in piedi vita personale e professionale. E ovviamente il telefilm dipendente sa che deve assolutamente guardarlo.
In Breaking Bad assistiamo a una vera e propria dipendenza: la vita di un uomo che per aiutare la famiglia, si fa coinvolgere in un traffico di metamfetamina, ma sarà quest’ultima a portarlo alla rovina. I Soprano racconta la storia di una famiglia di mafiosi italo-americana, il cui patriarca, Tony, è un boss che soffre di attacchi di panico e per questo è in terapia. Mad Men è ambientato nei mitici anni ’60, quelli del boom economico, e segue le vicende di un’azienda di pubblicità, ma anche qui è la storia del protagonista, Don Draper, a coinvolgere lo spettatore: padre di famiglia quasi assente, marito insoddisfatto e infedele, il suo passato è complicato e non è chi dice di essere.

The Walking Dead\The Vampire Diaries: la vita dopo la morte

Credits: www.charismanews.com
Credits: www.charismanews.com

Non in senso religioso, ma il sovrannaturale ha da sempre attratto l’uomo. La possibilità che esista vita dopo la morte è un classico. Dagli zombie ai vampiri, il telefilm addicted si appassiona, soffre con i personaggi, crede di poter sopravvivere e di sperare in una vita migliore. E poi c’è l’eterna lotta tra Bene e Male, uomo contro natura, e uomo contro la morte. Questo è il messaggio psicologico nascosto dietro The Walking Dead e The Vampire Diaries.

Grey’s Anatomy: l’amore e altre cose

Credits: au.tv.yahoo.com
Credits: au.tv.yahoo.com

Un classico che dura da più di dieci anni. In Grey’s Anatomy si intrecciano le storie d’amore tra medici e specializzandi in corsia, mentre spesso sono i casi chirurgici a passare in secondo piano. Allo spettatore non importa se un personaggio amato muore, poiché sa che non può fare a meno di abbandonare la serie, che continuerà a sorprenderlo. E così è. La magia di Grey’s Anatomy sa nel creare dipendenza grazie a storie impossibili, amori altalenanti, i casi di medicina coinvolgenti e a volte assurdi.

Caro personaggio preferito perché sei morto? (LA SERIALIST)

Credits: FOX Television

Come si affronta il lutto per la morte di un personaggio preferito? La risposta è semplice: non si affronta. Non esiste cura a sufficienza per riparare un cuore spezzato quando non potremmo più vedere il suo volto o sentire la sua voce sul piccolo schermo. La vera domanda è: perché è dovuto morire? Non mi sembra sia una cosa giusta. Analizziamo la situazione partendo dal fatto che conoscere un personaggio televisivo è un po’ come incontrare gente reale. Solo che gli attori in tv sono meglio di quelli sfaticati e perdenti che incontriamo nella realtà.

Iniziamo una serie tv, conosciamo i personaggi, ma solo uno colpisce veramente il nostro cuore. Per lui investiamo del tempo prezioso, dedicandoci a raccogliere immagini sul web, fare fan video, leggere fanfiction, tifare per lui e la donna che ama (e ogni tanto augurandoci di trovare un ragazzo ideale come quello immaginario, che per noi sarà insostituibile sempre e comunque), e rinunciando ad uscire con gli amici la sera dicendo addio alla nostra vita sociale.

Per il nostro personaggio preferito facciamo follie e spendiamo soldi: compriamo i cofanetti della serie tv dove è il protagonista, ci vestiamo come lui durante le fiere del fumetto (e quindi rimediamo l’abbigliamento su Internet o dal cinese di fiducia).
E poi cosa succede? Lui muore. Inaspettatamente. Lasciandoci in un mare di lacrime in un angolo della nostra cameretta, tanto che nostra madre deve correre preoccupata chiedendoci cosa sia successo di male. E noi ogni volta “Mamma, è morto Derek Shepherd, non puoi capire, odio tutto e tutti”, e lei ci guarda confusa scuotendo la testa, “Ma è un tuo amico?”

Amico? Non scherziamo. Derek era l’amore della vita di Meredith Grey, così come Mark Sloan e Lexi Grey erano fatti l’uno per l’altra; e non menzioniamo le orrende morti in “Game of Thrones”, perché siamo ancora in lutto ogni volta che pensiamo alle Nozze Rosse in cui la famiglia Stark è stata decimata. Il problema è che non siamo potuti neanche andare al funerale di Robb Stark, né posare fiori sulla tomba di Derek o spalmarci per terra a piangere. Il nostro è un dolore interiore. Siamo destinati a soffrire in silenzio.

Caro personaggio preferito, è stato bello conoscerti. Mi mancherai. Resusciterai, vero?