sabato, 26 Luglio 2025

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Un rossetto per aiutare la ricerca contro il cancro al seno

Bellezza e salute, un binomio perfetto quello pensato dalla “Living Nature”: un rossetto e la ricerca contro il cancro al seno. Tematica di spessore che riguarda tutte le donne, proprio come la necessità di essere sempre perfette per ogni occasione. E con il Bloom Lipstick di Living Nature, dalla stesura impeccabile e dalla durata testata, ci è stata garantita la possibilità di avere sempre un colorito neutro e luminoso sulle labbra.

L’azienda made in Nuova Zelanda, infatti, si occupa dal 1987 di cosmetica naturale.
E anche in questo caso la specialità del rossetto in questione è che è stato creato artigianalmente e utilizzando prodotti unicamente naturali e selezionati. La peculiarità di quest’azienda è proprio quella di portare alto il concetto di eco nel settore della cosmetica.
Il Bloom Lipstick dona un colorito fantastico, perfetto sia di giorno che di sera: rosa garofano il colore pensato per questa iniziativa sociale, il colore che si adatta, infatti, all’incarnato di tutte.

Il rosa è il colore della prevenzione, quella del cancro al seno per l’appunto.
Infatti parte del ricavato dalle vendite di questo rossetto verrà devoluto alla ricerca contro il cancro al seno (1$), nello specifico la Living Nature si occupa di sostenere il Breast Cancer Network New Zealand (BCN), un’associazione formata da persone che hanno sconfitto il cancro e diversi volontari che Suzanne Hall, fondatrice della Living Nature, sostiene dal 2011.

La propaganda a riguardo di questa iniziativa nasce dal web.
Vanity Space, gruppo Facebook che conta ad oggi 13.000 iscritti, è l’esempio di come sul web possano nascere community che partendo dalla passione per il make up e passando per consigli e confronti quotidiani, si possa arrivare a sostenere iniziative sociali di spessore.

Girovita-altezza: il metodo per scoprire quanto a lungo si vivrà

donnaweb.net

Per vivere bene e più a lungo bisognerebbe avere un girovita che misura la metà della propria altezza.

Lo dimostra la dottoressa Margaret Ashwell, docente presso la Cass Business School di Londra. Il gruppo di ricercatori guidato dalla Ashwell ha infatti scoperto come la chiave di una vita lunga e prospera risieda nel corretto rapporto che ci deve essere fra girovita e altezza: la prima deve misurare la metà della seconda.

La misurazione si è basata considerando la parte di vita che inizia dalla costola più bassa della gabbia toracica e facendo attenzione che i soggetti non respirassero durante il test.

Il risultato? Più la circonferenza del girovita si avvicina alla metà della propria altezza, più lunga sarà l’aspettativa di vita. E per chi invece avesse sforato di qualche centimetro? Le previsioni dei ricercatori per chi è ‘più in carne’ purtroppo non concedono sconti: avere la misura del girovita superiore alla metà dell’altezza porta a perdere mesi o addirittura anni di vita.

Ma perchè è così importante il girovita? La Ashwell ha individuato come proprio questa parte del corpo sia essenziale per mostrare la quantità di grasso del corpo centrale, quantità che è collegata a colesterolo alto, diabete e malattie cardiache.

Di qui la critica della dottoressa al metodo tradizionalmente usato per calcolare il peso forma di una persona: quello dell’IMC. Con il calcolo dell’indice di massa corporea vengono messi a confronto peso e altezza: risulta così che il 60% dei britannici viene posizionato nella categoria sovrappeso/obeso. Utilizzando il metodo girovita-altezza invece, questa percentuale sale al 69%.

Un incremento che secondo la Ashwell starebbe ad indicare la miglior precisione del suo metodo rispetto a quello che finora hanno utilizzato i governi inglesi, che dovrebbero quindi muoversi nella direzione di mettere davanti agli occhi dei cittadini la loro reale condizione di salute senza nascondersi dietro le ipocrisie di un metodo ormai superato.

Malattie reumatiche: prevenirle è meglio che curarle

Credit: esseresani.pianetadonna.it

Prevenire è meglio che curare: prima avviene la diagnosi, maggiori sono le possibilità di controllare e curare l’evoluzione delle malattie. Questo, vale anche per le malattie reumatiche, che in Italia colpiscono circa nove milioni di persone. Artrite reumatoide, artrosi, fibromialgia, gotta e lupus eritematoso sistemico le più diffuse, e ad esserne colpiti non soltanto gli anziani, ma anche adulti nel pieno della vita. Ed è soprattutto per loro che bisogna favorire la diagnosi precoce, in modo da evitare che malattie a decorso progressivo evolvano da una condizione dolorosa a una invalidante.

Con questo scopo, a Torino, si riuniranno per il Congresso Nazionale del Collegio dei Reumatologi Italiani, i più illustri specialisti del campo, tra i quali Enrico Fusaro, direttore della struttura complessa di reumatologia dell’Ospedale Molinette di Torino, all’interno del quale ha aperto un reparto dedicato alla diagnosi precoce dell’artrite reumatoide.  
Le malattie autoimmuni sistemiche richiedono continui accertamenti, esami e cure molto costose. “Non vanno lasciate a sé, ma bisogna curarle adeguatamente, prendendole per tempo”, afferma lo specialista.  
Un ruolo fondamentale per la diagnosi precoce è svolto dal medico curante. Dovrà essere lui, di fronte alla descrizione del paziente dei sintomi, ad individuare la possibile causa e non limitarsi a curarla. In questo modo la prognosi potrà essere migliore.
 
Il primo approccio per curare le malattie reumatiche, sta nell’utilizzo di “farmaci di fondo” (DMARD) in grado di ridurre il dolore e il gonfiore articolare, rallentando e talvolta bloccando i danni provocati alle articolazioni dall’artrite. Quando questi non funzionano, si ricorre ai “farmaci biotecnologici”, in grado di bloccare il progresso delle malattie autoimmuni, come l’artrite reumatoide, l’artrite psoriasica e la spondilite anchilosante. “Il destino prognostico è decisamente migliorato rispetto al passato e, oggi, siamo in grado di offrire una migliore qualità della vita ai pazienti affetti da una malattia reumatica”, afferma Stefano Stisi, responsabile del reparto di reumatologia dell’Ospedale Rummo di Benevento e Presidente del Collegio dei Reumatologi ospedalieri e territoriali.
 
L’importante evento scientifico ricade nel mese mondiale dell’osteoporosi (malattia che provoca la progressiva perdita di massa ossea, con conseguente rischio elevato di frattura). “Si tratta di una condizione ancora sottovalutata in entrambi i sessi e poco trattata. Eppure rappresenta una emergenza di salute pubblica, nel momento in cui si ha a che fare con una popolazione sempre più anziana che dopo la prima frattura si avvia verso la non autosufficienza”, ha dichiarato Andrea Giustina, ordinario di endocrinologia all’Università di Brescia e Presidente del Gioseg (gruppo di studio italiano che si dedica allo studio delle cause endocrinologiche dell’osteoporosi).
 
Scoprire la malattia quando essa si è già manifestata attraverso la rottura di un osso, vuol dire aver fallito nella prevenzione, anche perché, il rischio di una seconda frattura, nel periodo immediatamente successivo alla prima, è molto elevato. Per eseguire una diagnosi precoce di osteoporosi, è fondamentale un esame noto come MOC (mineralometria ossea computerizzata): attraverso i raggi X si determina la quantità e la densità minerale nei distretti a maggior rischio di frattura, quali le vertebre lombari e la parte prossimale del femore.

Le malattie reumatiche sono subdole, ma prima le si scopre, meglio si convive con esse.

Fumare cannabis penalizza gli studenti di matematica

Rinunciare alla cannabis può evitare una brutto voto a scuola? È risaputo che fumare, specialmente nella fase adolescenziale, aumenta il rischio di conseguenze negative sul cervello; ciò che gli studiosi invece hanno verificato solo recentemente è che questa pianta potrebbe incidere anche sull’esito scolastico degli studenti, soprattutto coloro che studiano matematica e hanno quindi necessità di mettere in moto differenti abilità cognitive.

Lo studio, di recente pubblicazione, è nato dalla considerazione degli economisti Olivier Marie dell’università olandese e Ulf Zolitz dell’Iza su quanto accaduto a Maastricht nel 2011. Qui, si era infatti deciso di mettere una restrizione sull’accesso nei coffee shops: solo chi aveva la nazionalità tedesca, olandese e belga poteva entrare e quindi consumare cannabis. Dai dati analizzati su 54000 gruppi di qualità di studenti di tutto il mondo, i due ricercatori si sono così resi conto che chi non poteva fumare durante quel periodo aveva il 7,6 di possibilità in più di superare gli esami, mentre se si trattava di prove di matematica, la percentuale aumentava di 5 volte.

Quanto emerso e riportato alla Royal Economic Society su un documento ufficiale, non voleva però essere un monito contro l’uso, bensì contro la dipendenza che, come quella dell’alcol e altre sostanze, causa perdita di concentrazione e anche di alcune funzionalità del cervello utili per rispondere in maniera precisa a determinati compiti.

A tal proposito gli esperti dicono che soprattutto nei paesi in cui la cannabis è stata legalizzata occorra un’adeguata informazione che spieghi benefici e controindicazioni, così come avviene per i farmaci.

Antecedente rispetto all’esperimento olandese si veda l’esempio degli Stati Uniti: oltreoceano si dimostrava che, col raggiungimento dell’età legale per bere bevande alcoliche, gli studenti avevano maggiori possibilità di ottenere bassi punteggi nei compiti.

Altro problema è quello che riguarda l’effettiva utilità terapeutica della pianta su bambini e adolescenti. Su questo fronte la scienza si divide tra pro e contro: nel più dei casi i contrari si preoccupano per un possibile abuso ed evidenziano la possibilità di ricorrere a cure alternative, mentre i favorevoli sottolineano le proprietà benefiche della cannabis; tra queste, la capacità di alleviare dolori e il livello di aggressività dei bambini.

Il dibattito è però ancora aperto e ricco di nodi da sciogliere. Tornando al rapporto tra rendimento scolastico e dipendenza da cannabis, alcuni studiosi hanno affermato che
l’informazione potrebbe essere la chiave per evitare un eccessivo consumo: ma sarebbe davvero sufficiente?