Abbiamo sempre avuto l’impressione che tra i gusti musicali e la personalità di qualcuno ci sia un qualche legame. Essere affascinato da diversi generi di musica è un po’ come essere affascinato dalla pluralità degli aspetti della vita. Viceversa, quelli che prediligono canzoni più “deprimenti” affrontano anche la propria vita con uno spirito meno entusiastico.

In uno dei suoi primi studi, Hunter S. Thompson richiamava spesso l’attenzione sull’importanza delle parole delle canzoni rock: in uno dei suoi saggi, infatti, scriveva che “la letteratura più significativa in America è all’oggi riscontrabile non tra le pagine dei libri, ma tra le parole decantate durante i reading poetici o gridate a squarciagola durante i concerti rock o le manifestazioni di protesta, in situazioni cioè in cui a prevalere è il contatto diretto con il pubblico“.

Ed è proprio così, la musica crea un rapporto privilegiato con l’audience. In più, l’ascoltatore che nel corso degli anni ha sviluppato un gusto più complesso e variegato in termini musicali avrà, al contempo, creato “relazioni musicali” più numerose ancora.

Senz’altro, la musica significa qualcosa di diverso per ciascuno di noi, ognuno tende ad ascoltare ciò che gli risuona meglio dentro. E questa preferenza musicale di certo non si manifesta casualmente: è un crescendo che riflette quanto si stia affrontando in un dato momento o quanto si è affrontato in passato.

Dalla prospettiva di chi la musica la fa, questo è piuttosto scontato. I migliori cantautori sono, in genere, anche dei grandi narratori: gente del calibro di Billy Joel, Bob Dylan o Bruce Springsteen non sono soltanto quelle voci che mettiamo su in macchina: spesso abbiamo proprio l’impressione di conoscerli personalmente. Ed è questo un tipo di relazione che finisce con l’influenzarci.

Anche quando usciamo con uno stesso gruppo di amici per parecchio tempo, non ci vuole molto prima che iniziamo, in maniera probabilmente involontaria, a interiorizzare i loro stessi atteggiamenti. Stando al parere del ricercatore di Psychology Today Tomas Chamorro-Premuzic, la stretta relazione tra la preferenza musicale di qualcuno e la sua personalità sarebbe deducibile da tre fattori:

1. la musica migliora le nostre performance negli ambiti più svariati. Basti pensare a quanto preferiamo ascoltare un pezzo deep tech mentre siamo in palestra o della bossa nova per distenderci in serata, dopo il lavoro.

2. la musica porta a sviluppare la propria curiosità intellettuale. Quando, per esempio, ci annotiamo le parole di una canzone per cercarle successivamente, stiamo facendo un esercizio mentale.

3. la musica può manipolare o influenzare lo stato emotivo di una persona, portandola a raggiungere l’umore che desidera.

Ed è per questo che ognuno di noi ha la sua playlist speciale, per i momenti buoni, ma anche per quelli più neri. Come dice Chamorro-Premuzic, “posto che gli stati d’animo sono strettamente legati alla nostra personalità, e che le persone usano la musica per regolare la propria emotività, una comprensione scientifica delle preferenze musicali di un soggetto rappresenta una finestra sulla sua anima“.

Un altro studio, condotto dal ricercatore dell’Università di Cambridge David Greenberg, analizza proprio il nesso tra le preferenze musicali e 5 diversi tratti caratteriali: criticismo, estroversione, apertura alle esperienze, disponibilità e coscienziosità. I collegamenti emersi sono impeccabili: i soggetti apparsi più empatici sono risultati quelli che ascoltavano musica più commuovente, mentre quelli più “semplici” erano gli appassionati di musica country, folk e jazz.

E, per quanto possano essere importanti per le industrie discografiche, certe scoperte ci aiutano anche a capire più a fondo le persone intorno a noi: non serve guardare così in profondità una persona per capire chi è in realtà, a volte potrebbe bastare la sua playlist su iTunes.