Chi viaggia all’estero è spesso ignaro di quali siano i costumi abituali del Paese che visita: una leggerezza che può costare figuracce senza uguali. Un semplice “ok” può trasformarsi in un insulto vero e proprio: a Rio de Janeiro, per esempio, unire indice e pollice in segno d’approvazione è qualcosa di davvero offensivo e in Inghilterra mostrare indice e medio – all’apparenza la classica V pacifica – col dorso rivolto verso l’interlocutore è gesto analogo a sollevare il ben più offensivo dito medio.

Ad essere spesso frainteso è anche il contatto fisico, che in alcune nazioni diventa addirittura sinonimo di invadenza.
Così, se in Italia o in Francia mantenere il contatto sia visivo che fisico con l’interlocutore è di gran lunga preferibile allo starsene impalati con le mani in tasca, in Cina o in Germania un atteggiamento del genere sarà senz’altro fonte di disagio, per non parlare della Nigeria dove guardarsi negli occhi è pura sfacciataggine. Attenzione anche alle effusioni amorose, da evitare a meno che non si abbia la certezza che sbaciucchiarsi in pubblico sia una cosa all’ordine del giorno nel luogo in cui si soggiorna.

I modi da tenere a tavola rappresentano un altro aspetto molto variabile da cultura a cultura: il galateo dei paesi mediorientali, per esempio, prevede che non solo non si poggino i gomiti sul tavolo, ma che addirittura non si tocchi niente con la mano sinistra (perché indice di sozzura).
In Francia, è bene appoggiare la propria fetta di pane sul tavolo e non sul piatto. Sorseggiare rumorosamente la zuppa in Giappone è qualcosa per cui nessuno batterà ciglio, ma farlo in Cina ci renderà i peggiori commensali mai visti.

Non solo il mangiare, ma anche il bere può sottostare a etichette diverse: se un russo ci offre della vodka, non c’è altra scelta se non accettarla e scolarcela immediatamente.
Analogamente, anche in Giappone il sakè non va mai rifiutato. In alcuni Paesi, tra cui la Svizzera, non si può iniziare a bere se non si è formulato il brindisi. Ma ogni nazione può presentare rituali differenti a cui attenersi, rituali che regolamentano la direzione da seguire quando si serve da bere, l’ordine dei bicchieri da riempire e persino la mano (destra o sinistra) con cui sorreggere il proprio drink.

Anche la mancia è un costume piuttosto ambiguo: mentre in Italia, in Francia o in Germania non si tratta che di un’attenzione “extra” legata soltanto all’eccezionale qualità del servizio, in America non ci si alza mai da tavola senza aver lasciato al cameriere almeno il 15% del totale che si è speso.

Insomma, l’educazione è anche una questione di gesti: parlare con le mani in tasca è qualcosa di davvero sgarbato in Svizzera, incrociare le caviglie è assolutamente sconsigliabile in Perù, vietato accavallare le gambe o mostrare la pianta dei piedi nei Paesi arabi, e così all’infinito.
Eppure, destreggiarsi tra tutte queste diversità culturali (talvolta davvero incomprensibili) si può: ricordarsi di imparare le più semplici frasi d’interazione nella lingua del Paese visitato (da “salve” a “scusi” a “dov’è il bagno”) ci ingrazierà sempre gli autoctoni, che così non guarderanno a noi come a degli anonimi stranieri ma come a dei potenziali amici, qualsiasi sia la nostra provenienza.