La pubblicità crea modelli, li ritrae e condiziona i nostri comportamenti.

Più di cinquanta anni fa, negli anni ’50 i messaggi diffusi da alcuni manifesti pubblicitari internazionali divulgavano valori tutt’altro che positivi: razzismo, incitamenti al fumo, ammiccamenti alla pedofilia, stereotipi e quant’altro.
Ma soprattutto la figura della donna negli stessi spot, lascia oggi molto discutere. Essa, infatti, vestiva i panni della stereotipata casalinga perfetta dedita alla cura del focolare che, per rispondere alle regole del mercato, serviva incondizionatamente il proprio marito. Ciò che ne risultava era chiaramente la trasmissione di messaggi esplicitamente sessisti.
L’immaginario comune della società patriarcale degli anni ’50 attribuiva all’uomo il ruolo di onesto lavoratore in grado di portare a casa il pane quotidiano, mentre la donna era considerata la figura che si prendeva cura della prole e dell’intera casa.

Oggi, nessuna di quelle pubblicità verrebbe molto probabilmente accettata. Attualmente la pubblicità sessista è regolata dall’articolo 10 del codice di Autodisciplina pubblicitaria che stabilisce: “La pubblicità non deve offendere le convinzioni morali, civili e religiose dei cittadini. Deve rispettare la dignità della persona umana in tutte le sue forme ed espressioni“.

Ma gli spot degli anni ’50, oggi non farebbero discutere solo per questo.
Da Santa Clous fumatore accanito di “Camel” allo “smacchiamento” delle persone di colore, spot razzisti, eticamente scorretti.

Oggi, a guardarle così, probabilmente strapperebbero anche un sorriso ma se fossero seriamente proposte nella quotidianità si griderebbe facilmente allo scandalo.

Sebbene con evidenti differenze, anche oggi come allora il ruolo della madre/moglie casalinga e lavoratrice viene usato frequentemente in molti spot come quelli che sponsorizzano merende per i ragazzi o prodotti per la pulizia della casa: gli articoli reclamizzati si adeguano all’uso che ne viene fatto dalla donna lavoratrice (sostituita al ruolo della donna-massaia) sempre più impegnata, indipendente, padrona della propria vita e non più messa in secondo piano.

Sicuramente, a guardarci indietro, possiamo dire che la pubblicità -e certo anche la società che rappresenta- ha raggiunto certi obiettivi quasi impensabili allora, ma di strada da fare ne abbiamo ancora tanta.
E certamente, tra altri cinquant’anni i nostri postumi avranno ancora da rabbrividire per le nostre attuali pubblicità. Con la speranza di continuare a progredire.