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“Nessuno può amarci abbastanza da renderci felici se non amiamo davvero noi stesse, perché quando nel nostro vuoto andiamo a cercare l’amore, possiamo trovare solo altro vuoto”. Così scrive Robin Norwood in “Donne che amano troppo”. E con questa frase si può sinteticamente racchiudere l’essenza della donna crocerossina.

Quella della donna salvifica e salvatrice, indefessa paladina della difesa e della cura di un uomo tenebroso ed enigmatico, è una vera e propria sindrome che ha colpito – e ancora colpisce – un gran numero di donne.

Il profilo di lui è quello generalmente di un uomo con un passato difficile, con una relazione burrascosa e tormentata alle spalle e con un presente ancora fragile e tutto da definire. Un uomo che non ha ancora raggiunto un proprio equilibrio sentimentale, problematico, pieno di dubbi, enigmi e paranoie da risolvere.

Ed ecco che prontamente in questa situazione complicata e instabile arriva lei, la mitica crocerossina. Al grido di ‘io ti salvero!’ questa personalità di donna è pronta a correre in soccorso del suo beniamino, forte di essere non una come tante ma la persona giusta e diversa che sarà in grado di riempire il suo amato di quelle cure e attenzioni che lo renderanno un uomo nuovo e sicuro di sè.

Questo tipo di rapporto però non corrisponde affatto alla normale definizione di un amore sano e genuino. Si viene a creare una sorta di dipendenza tale per cui la donna, che si sente investita di una missione salvifica, può addirittura arrivare all’abnegazione di sè pur di rendere felice il suo protetto. Protetto che – fra l’altro – non sempre vuole o chiede di essere salvato.

Questo stato mentale della crocerossina spesso può derivare da un trauma subito durante l’infanzia – come l’assenza di una figura di riferimento – oppure dall’essersi ritrovata in una situazione dove i ruoli si sono capovolti e lei è stata anzitempo costretta ad accudire anzichè essere accudita.

Ecco quindi che si genera lo schema mentale dell’amore come sinonimo di cura, in cui le attenzioni, la protezione e le tenerezze vanno sempre a senso unico. La crocerossina è quindi colei che si getta a piene mani e a pieno cuore in una relazione, donando tutta se stessa e tutto il proprio amore verso un’unica direzione, quella dell’uomo che si è prefissata di salvare.

Ma come si capisce se si è affette o meno da questa sindrome? I sintomi sono chiari: precipitarsi da lui appena lo si sente triste al telefono, accompagnarlo ad appuntamenti ed impegni sacrificando il proprio tempo libero o le uscite con le amiche, guardarlo dormire la notte per vedere se effettivamente sta riposando bene ed infine ascoltarlo ad oltranza anche quando ha torto marcio, mettendo sempre se stesse in discussione.

Nella maggior parte dei casi poi capita che le cose non vadano esattamente secondo le aspettative dell’eroina: lui si riprende dal suo stato di apatia e smette di star male e di appoggiarsi completamente a lei.

E qui la crocerossina non può fare altro che colpevolizzarsi per l’allontanamento dell’amato, che non ha saputo tenere abbastanza stretto a se.

Mi correggo: non potrebbe fare altro che colpevolizzarsi. Perchè un modo per uscire da questo tunnel di dipendenza emotiva esiste: anzichè lasciarsi travolgere dall’onda emotiva degli eventi, buttarsi a capofitto su un uomo insicuro e debole, la crocerossina ha la possibilità di fermarsi un po’, di riflettere su chi è e su cosa è diventata, per imparare ad apprezzare le caratteristiche che rendono unica ciascuna di noi donne. La soluzione quindi sta nel giusto bilanciamento fra un altruismo ponderato e un po’ di sano egoismo.