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Cade oggi, 25 Novembre, la Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne: un giorno, una data, una ricorrenza – quasi. Come se bastasse un giorno per dirsi contrari alla violenza sulle donne, come se chiamarla ‘violenza sulle donne’ fosse, a sua volta, sufficiente. Come se la violenza sulle donne fosse diversa dalla violenza in generale, come se incarnasse una specie di sottotipo, una sorta di sottoinsieme che partecipa solo in misura marginale all’idea di violenza tutta. Quanti tranelli mediatici si nascondono dietro l’ufficializzazione di certe istanze, che magari partono come buone e finiscono col diventare, tutto sommato, dei mostri?

I media, si sa, da sempre fanno del facile sensazionalismo sulle violenze domestiche perpetrate ai danni delle donne e, in maniera del tutto impari, ben poco mettono in luce le violenze compiute da donne. Non vi è mai balzata in testa l’idea che forse non è l’uomo, ma l’intero genere umano a essere marcio (e in questo senso le riprove dovrebbero essere davvero tante, soprattutto negli ultimi tempi)?

Questa disparità è stata appunto messa in luce da uno studio proprio a proposito delle notizie internazionali sulla violenza sulle donne: “I media che mettono in luce gli aspetti più osceni della violenza sulle donne forniscono al pubblico di lettori e di spettatori una prospettiva che ha del provocatorio e non del rappresentativo – ha detto il portavoce dell’organizzazione ‘Media Representations of Violence Against Women and Their Children’ – Più e più studi hanno peraltro mostrato che le donne perpetratrici di violenze, fisiche come sessuali, così come le assassine donne, possono essere riscontrate in una percentuale comunque alta rispetto al totale delle notizie in fatto di violenze“.

La relazione, pubblicata a nome di Our Watch e di Australia’s National Research Organisation for Women’s Safety (Anrows), ha evidenziato come le modalità per riportare questo genere di notizie siano essenzialmente standardizzate al livello internazionale: si tratta il più delle volte di notizie oltremodo semplicistiche, distorte e inadeguate, che vanno a contribuire alla confusione e non alla chiarezza di idee che un lettore o uno spettatore può farsi.

Molti di questi servizi giornalistici, peraltro, attribuiscono spesso la sostanziale criticità non al perpetratore di sesso maschile ma alla vittima di sesso femminile: “Sfortunatamente, le notizie sulla violenza sulla donne che vanno a distruggere piuttosto che a rafforzare le norme culturali e sociali legate al gender sono ancora in netta minoranza. Anche la rappresentazione eccessiva che viene fatta delle perpetratrici donne potrebbe riflettere ‘l’originalità’ che vi vedono i media, per i quali una violenza commessa da una donna è sempre in qualche modo più deviata, più carica di angoscia, più trasgressiva di una commessa da un uomo e, pertanto, qualcosa che insomma ha necessariamente bisogno di più di una spiegazione..

Storie di donne molestate da sconosciuti sono altrettanto sovra-rappresentate: non si può, in esse, intravedere la paura della comunità societaria che i media amano coltivare, il dubbio che insinuano sul chi sia davvero in pericolo?.
I media, secondo la relazione, “molto di frequente rispecchiano la confusione della società e l’ambivalenza che esiste a proposito della violenza sulle donne“.

Una società, occorre ricordarlo, in cui la donna non è così lontana dal voler tornare volontariamente ad essere oggetto. Basta guardarsi un po’ intorno per rendersi conto che le cose sono ben più contorte della banale polarizzazione che vorrebbero darci in pasto, del contrasto donne vittime vs. uomini aguzzini che vorrebbero continuare a farci vivere per poterci tenere eternamente in scacco, gli uni contro le altre nelle nostre minuscole, miserrime e sterili beghe da quattro soldi.